Cos'hanno in comune Lena Dunham, Amy Schumer e Katy Perry? Il fatto di avere scritto la loro autobiografia a 30 anni - ben prima del tempo dei bilanci tipici della mezza età - e il modo in cui l'hanno fatto. Prima di diventare famose avevano vite normali, quindi hanno voluto raccontare storie di successo ad uso e consumo di aspiranti celeb, per indicare la via a chi ha voglia di sfondare. Il modo in cui l'hanno fatto è quasi sempre l'ironia, quella giusta distanza che permette di accettare le proprie imperfezioni sino a farle diventare il proprio punto di forza.
Anche io, a un età poco più accettabile della loro, sto scrivendo la mia autobiografia e come me altri 70 grafomani da tutta Italia che si sono ritrovati in un genuino angolo della Toscana vicino alla Romagna, in quel di Anghiari, dove ha sede la Libera Università dell’Autobiografia, scuola unica in Europa.
Nessuno di noi è famoso (altrimenti potrebbe risparmiarsi la fatica e ingaggiare un ghostwriter). Nessuno (credo) ha intenzione di pubblicare il proprio lavoro, sudato innanzitutto per se stesso e al massimo per i posteri della famiglia.
Eppure, in in certo senso, ognuno di noi ha la sua storia di successo da raccontare, intendendo il successo non come sinonimo di fama, ma in senso etimologico (dal latino successus -us «avvenimento, buon esito»), nell’essere cioè riusciti a superare condizioni eufemisticamente antipatiche.
L’autobiografia è il mezzo migliore per raccontare il successo, perché ti costringe a metterti nella posizione dell’eroe, che supera innumerevoli difficoltà per arrivare all’happy end non solo incolume, ma addirittura migliore, più forte, profondamente cambiato. L’autobiografia, in altre parole, ha il beneficio notevole di costringerti a uscire dal vittimismo - per cui si incolpano delle proprie difficoltà genitori, oroscopi, scenari economici, suoceri e una serie infinita di condizioni esterne - per affidarti il ruolo di protagonista.
Per alcuni questa “postura autobiografica” è una conquista che precede lo scrivere la storia di sé, altri si raddrizzano durante il lavoro, accorgendosi di dover cambiare la loro visione, se vogliono scrivere una storia dinamica, fatta di azione ed evoluzione.
E’ questo il maggior vantaggio dell’autobiografia, al di là delle sue possibili consapevoli mission.
Nel mio gruppo c’è c’è chi ha convissuto con la pazzia di un famigliare e chi ha perso un figlio e c’è anche chi per anni ha semplicemente fallito diete e partner. Io, ad esempio, sono una di quella che i problemi se li è inventati, torturandomi con l’ossessione di un secondo figlio a tutti i costi. L’eta media è sui 50, ma almeno una decina sono under 35.
Tutti hanno una cosa in comune: la sensazione di aver sviluppato una propria filosofia che li ha dribblati dalle trappole della vita. Non immaginatevi i laboratori di questa scuola come una terapia di gruppo, se mai come un lavoro svolto individualmente insieme, alla Zygmunt Bauman.
Si scrive, sotto varie forme, sotto l’input di sollecitazioni, letture, esercizi e tecniche particolari e si legge a voce alta quello che si vuole, quanto si vuole. Chi ascolta può intervenire solo sulla scia delle emozioni, non delle interpretazioni.
Dalle condivisioni dei racconti trapelano le difficoltà, certo, ma ancor di più la morbidezza, la pacatezza e l’autostima, sotto forma di amor proprio nei confronti di se’ e della propria storia di vita, che, a osservarla bene, insegna più di tanti guru trovati in giro.
What do Lena Dunham, Amy Schumer and Katy Perry have in common? The fact of writing their autobiography in their thirties - well ahead the time of middle aged analysis - and the way they did it. Before becoming famous, they had normal lives, so they wanted to tell their success stories for wannabe celebs, to show them how to hit the big time.
The way they did it, it’s always by using irony, or the right distance allowing you to accept your flaws and even to transform them into your strong point.
Me too, in an age just a little more acceptable then theirs, I’m writing my autobiography. Like me, another 70 compulsive scribblers from all over Italy, gathering in a genuine Toscana corner near the Romagna, more precisely in Anghiari, where the Autobiography Free University - a unique school in Europe - is based.
Non of us is famous (otherwise we could save the effort and hire a ghostwriter). None of us (or at least I think so) aims at publishing their work, done first of all for themselves or for the posterity.
Anyway, each of us has a success story to tell, meaning success not as a synonymous of fame but in its etymological definition (from the Latin «event, good result»). Anybody has success, when they manage to overcome a difficult situation.
Autobiography is the best way to tell about success, because it forces you to stand in the role of the hero, passing through many hurdles to come to the end not only unhurt, but even better, stronger, deeply transformed. Autobiography, in other words, forces you to get out of that victim complex, letting you blame everything - from horoscopes to Wall-Street, from parents to ancestors - for your problems. In autobiography, you are the main character.
For some autobiographers, the autobiographical attitude is an achievement that preexists autobiography. For others, it’s something achieved during the autobiography itself, as they become aware of having to change their vision, in order to write a dynamic story, made of action and evolution.This is, in my opinion, the main benefit of autobiography.
In my group there is somebody who has lived side by side with madness, somebody who has lost a child or simply somebody failing diets and partners.
I’m one of those, for example, specialized in fabricating problems - so that I got obsessed by the idea of having a second child at all costs.
The average age is around 50, but at least ten are under 35.
Everybody have something in common: the sensation to have been able to develop a kind of personal philosophy, necessary to dribble life’s traps. Do not imagine these laboratories as a sort of group therapy, on the contrary, more like a work done “individually together”, as Zygmunt Bauman would say.
We write in different ways, inspired by inputs, readings, exercises, special techniques. We read loud want we want, how much we want. Who is listening can only participate on the basis of their emotions, not of interpretations.
From the shared texts, what transpire are difficulties, for sure, but even more softness, placidness, self-confidence, in the form of self-respect towards one’s life story, which can, in the end, teach more than many occasional gurus.