• Works
  • Personal Storytelling
  • Blog
  • About
  • Garagedesign
  • Contacts
00:am
  • Works
  • Personal Storytelling
  • Blog
  • About
  • Garagedesign
  • Contacts

La scomoda autobiografia di Neruda

Vivere da poeti è vivere senza ragionevolezza. È vivere vicino al cuore, è ascoltare il battito profondo della terra e l'alta sinfonia delle galassie, è guardare con l'occhio invisibile il reale più reale, ma nascosto, è essere guerrieri della pace.

Mi sento poeta, perché mi muovono la bellezza, la gratitudine, l'amore, l'entusiasmo, la gentilezza.

Purtroppo il business vuole inglobare in sé tutto, persino il poeta, vuole farci credere che il poeta è chi scrive e pubblica poesia.

Ma il poeta, prima di scrivere, è.

E la poesia, prima di essere un mestiere, è un atto di pace.

Il poeta crede nel vegetale, nell'animale, nell'umano, nel siderale e nel mistero. Certo, la storia addita qualche poeta deragliato negli aberranti nazionalismi, come Céline o Ezra Pound. Ma la maggior parte dei poeti ha vissuto del coraggio di essere contro e anti, a favore prima di tutto della proprio acuto sentire, nonostante solitudini opprimenti, nonostante - spesso - persecuzioni.

"Il poeta nasce dalla pace come il pane nasce dalla farina. Gli incendiari, i guerrieri, i lupi, cercano il poeta per bruciarlo, per ucciderlo, per sbranarlo. Uno spadaccino lasciò Puskin ferito a morte fra gli alberi di un parco desolato. I cavalli di polvere galopparono impazziti sul corpo senza vita di Petöfi. Byron morì in Grecia lottando contro la guerra. I fascisti spagnoli iniziarono la guerra in Spagna assassinando il loro maggior poeta". (Pablo Neruda, Confesso che ho vissuto)

Neruda è stato una lettura scomoda, persino pericolosa, per me poeta a metà, che cerco di combinare poesia e borghesia, che relego la poesia negli stanzini e nelle anticamere, fingendomi soldatessa nei saloni.

La vita del grande cileno è stata coraggio, lotta, fuga, ribellione, rischio. Ha sempre saputo di essere poeta, tant'è che Neruda è uno pseudonimo scelto per nascondere al padre - che non voleva un figlio poeta - la prima pubblicazione giovanile, uno pseudonimo scelto ingenuamente sfogliando una rivista, senza sapere che quello era il nome di un scrittore cecoslovacco molto famoso in patria.

Neruda ha viaggiato il mondo, prima con l'alibi di console del Cile, poi come ambasciatore di pace, ha combattuto per il proprio paese e per il popolo spagnolo contro Franco, ha condiviso case, cibo, idee e cause con i grandi poeti spagnoli, russi, francesi, sudamericani.

Ha fatto della sua vita una via di ricerca, in una solitudine a volte colossale.

Pablo Neruda con la moglie Matilde Urrutia, che ha curato la pubblicazione autobiografia del poeta dal titolo "Confesso che ho vissuto"

Pablo Neruda con la moglie Matilde Urrutia, che ha curato la pubblicazione autobiografia del poeta dal titolo "Confesso che ho vissuto"

Leggere l'autobiografia di Neruda "Confesso che ho vissuto" non solo mi ha scatenato un'ammirazione stupita, non solo mi ha stimolato l'appetito di Paul Eluard, Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Octavio Paz, non solo mi ha arricchito di tanti preziosi passi per la raccolta di citazioni che sto componendo da qualche anno, non solo mi ha portato in una Cina che non conoscevo e mi ha riportato in un Messico che ho conosciuto e amato, non solo mi ha scosso di parole e immagini sensazionali.

Il poeta mi ha interrogato sui fondamentali, ha puntato il dito dritto al cuore del mio cuore. Favorito forse da tête à tête notturni su una baia, in cui le luci degli alberi maestri si distinguono dalle stelle solo per il loro dondolio.

tags: autobiografia, autobiography, pabloneruda, neruda, poesia
Saturday 09.10.16
Posted by 00:am
 

5 cose che vorrei dire a Bill Viola

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un breve documentario realizzato dal Louisiana Museum of Modern Art su Bill Viola, il famoso videoartista americano. Apre il documentario il frammento dell’opera The Raft  (2004), in cui una ventina di persone diversissime tra loro pare aspettare un autobus, quando viene investita in slow motion da un’ondata d’acqua. Da altri spezzoni di opere, alcune più datate come The Crossing (1996) e altre più recenti come Inverted Birth (2014) appare chiaro il legame dell’artista con l’acqua.

Il documentario mostra lo studio all’interno della casa in cui l’artista lavora, pieno zeppo di libri ovunque. L’origine delle opera di Viola è molto culturale e spesso spirituale, nutrita di poesia, come nel caso di Room for Saint John of the Cross (1983), la video installazione dedicata al martire mistico e poeta cristiano del ‘500 San Giovanni della Croce.

L’artista definisce il proprio lavoro come un’indagine costante su se stesso, una scavo che scandaglia incessantemente la propria personalità e la vita stessa. “There's more than just the surface of life" Viola spiega. "The real things are under the surface". Perciò rimango a bocca aperta quando, alla domanda dell’intervistatore sul perché della ricorrenza così forte dell’acqua nelle sue opere, l’artista confessa candidamente di averne realizzato il motivo solo recentemente, grazie alla domanda di un giornalista: “Sig Viola, forse è successo qualcosa nella sua vita, che ha in qualche modo causato questa sua attrazione per l’acqua?”

E lì, dopo anni e anni di indagine su se stesso, Viola finalmente collega l’acqua ad uno dei suoi primi ricordi: a 6 anni cadde in un lago, scese fino a toccare il fondo, un luogo che gli sembrò paradisiaco. Fu salvato dallo zio che si trovava con lui.

Mi sembra pazzesco. Stupita, mi chiedo come può un artista dedicato all’esplorazione delle proprie visioni, intuizioni, ispirazioni, concentrato sull’elaborazione attraverso il proprio sguardo personale del mondo, essere così poco consapevole della propria storia e degli eventi cruciali che hanno formato quello stesso sguardo protagonista delle proprie opera.

Certo, da una parte il fascino del lavoro artistico consiste nella spontaneità, nell’abbandonarsi al flusso dell’idea, senza interporre interpretazioni e auto-analisi. O forse Bill Viola - come confessa Doris Lessing “Da che ho memoria l’ho sempre fuggita” - non si trova a proprio agio con la propria memoria.

D’altra parte, è evidente il paradosso di un lavoro che vuole indagare la propria soggettività ma, allo stesso tempo, la ignora, volontariamente o no, o la fugge.

Viola, però, pare ricordare l’aneddoto della domanda del giornalista con gratitudine, riconoscendo la preziosità di quel momento epifanico.

E allora, quello che vorrei dire al Sig. Bill Viola – chiedendogli di perdonare la mia presunzione - è:

1.     Caro Sig. Viola, continui a indagare la sua infanzia, che è lo scrigno delle nostre fragilità e passioni!

La memoria, una volta innescata la miccia, continuerà a regalare scoperte e a rivelare nessi. Scrive con tono entusiasta il primo grande autobiografo S. Agostino nelle sue Confessioni: “Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all'istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti.”

2.     Se Lei, Sig. Viola, è, come tutti, alla ricerca della felicità, vorrei ricordarle la massima greca iscritta nel tempio di Apollo a Delfi: “conosci te stesso”. Questo detto può sembrare in opposizione al conoscere il mondo, ma le due conoscenze possono considerarsi due facce di una sola medaglia: una conoscenza viva e attuale non può prescindere dalla mente che conosce

3.     Nel Suo caso, Sig. Viola, è stato il dialogo, con la sua importante funzione di specchio e restituzione, a far affiorare una verità creduta perduta. Provi a sperimentare la scrittura come mezzo di conoscenza di se stesso! L’esercizio regolare della scrittura Le consentirà di intraprendere un percorso di conoscenza di se’ strutturato e completo, attraverso la Sua evoluta capacità di riflessione, la Sua intelligenza, ossia la Sua capacità di intus legere, di leggere dentro se stesso e dentro le cose, andando oltre la superficie

4.     L’autobiografia è diventata una gran moda, questo si sa, perché sancisce l’appartenenza all’Olimpo della notorietà, ma di certo non è appannaggio esclusivo delle star e dei Vip, anzi. Nel suo caso, Sig. Viola, pur appartenendo a questo Olimpo, l’autobiografia può essere un lavoro utile a capire meglio come dare più spessore al proprio lavoro attuale e a progettare con più consapevolezza quello futuro, perché la scrittura di sé è come se portasse alla luce tutto ciò che è stato vissuto, di cui non si ha ancora un’immagine complessiva.

5.     Scrivere di sé, nelle varie forme autobiografiche - dal diario, alla poesia, alle confessioni, alla scrittura contemplativa fino alla forma più compiuta dell’autobiografia vera e propria - non è un’azione narcisistica, ma uno strumento di lavoro faticoso e allo stesso tempo potente, per radicare la propria espressione, rafforzarla, renderla agente di trasfromazione. Scrive l’acculturata ebrea di Amsterdam Etty Hillesum nel suo Diario edito da Adelphi – cronaca in prima persona della persecuzione nazista degli ebrei - “La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare a se stessi” non è proprio una forma d’individualismo malaticcio.  Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso.”

Infine, se decidesse di scivere di sé, caro Sig. Viola, sarei felice di poterla aiutare.

When video artist Bill Viola was 6 years old he fell into a lake, all the way to the bottom, to a place which seemed like paradise. "There's more than just the surface of life." Viola explains. "The real things are under the surface". American Bill Viola (born 1951) is a pioneer in video art.

tags: personal storytelling, bill viola, the raft, louisiana museum of modern art, autobiography
Thursday 04.28.16
Posted by 00:am
 

5 buoni motivi per scrivere per se’ (non per pubblicare)

Ho terminato la mia autobiografia, stampata, rilegata, spedita a una lettrice incognita, infilate tra una Dickinson e un Balzac le copie destinate ai figli una volta raggiunta la maggiore età.

Mi sento sollevata ma soprattutto svuotata, come dopo ogni grande consegna. Cerco di riempire il vuoto parlandone con amici, i quali mi chiedono tutti se la pubblicherò. Noto che quando rispondo di no, l’interesse per il lavoro inesorabilmente scema.

La cosa mi delude un po’, così mi consolo traendone “food for thought”. Conosciamo bene i vantaggi della pubblicazione: qualche guadagno, gratificazioni, nuovi contatti e notorietà in caso di successo editoriale.

Certamente risulta più difficile capire perché mai ci si dovrebbe limitare a scrivere per se’ e per pochi eletti. Ma vi assicuro che non si tratta di un’idea insensata e qui di seguito proverò a convincervi con 5 motivazioni:

  • La libertà di seguire i propri gusti (e non quelli del mercato)

scrivere per sé significa non doversi preoccupare di quali sono i generi e i temi che vanno per la maggiore - possiamo scrivere ciò che più ci interessa e ci attrae, cercando di soddisfare un solo lettore (cha, tra l’altro, conosciamo benissimo): noi stessi. Niente sciatteria, quindi, anzi, al contrario, faremo di tutto perché lo stile della nostra opera ci assomigli più possibile

  • Portersi rivelare nella scrittura

scrivere per se’ consente di potersi rivelare nella scrittura nella propria intima sincerità, senza dover usare la scrittura per esprimere e allo stesso tempo celare, per nascondere aspetti di se’ che non si vorrebbero fossero riconosciuti, da nessuno o da qualcuno

  • Fare un dono e creare connessioni sintoniche

scrivere per se’ non vuol dire fare un’opera assolutamente privata e non condivisibile. Alcontrario, si può fare dono del proprio scritto ad alcune persone selezionate con cui ci si sente in sintonia, per mettere in moto uno scambio di idee e sentimenti e lasciare che il proprio seme germini e si diffonda spontaneamente, là dove crediamo che possa essere meglio recepito. E’ probabile che si creeranno nuove interessanti connessioni. In ogni caso, lo sguardo dell’altro sarà un momento di importante verifica e stimolo.

  • Dare alla propria storia l’importanza che merita

Spesso i libri interessano gli editori quando rappresentano storie con effetti speciali alla Murakami, condizioni estreme alla Susak o coté piccanti alla E. L. James

La maggior parte delle storie di vita sono molto più sottili e mano appariscenti, ma non per questo meno rilevanti. Scrivere il libro della propria vita per se’ consente di sottrarre la propria storia a mistificazioni compiute in nome dei numeri, permette di scrivere con il solo scopo di celebrare la Vita come maestra, di individuare e riconoscere i punti salienti che hanno formato la persona che si è diventati.

  • Raggiungere obiettivi personali attraverso la scrittura

Lasciare una traccia di se’, colmare un vuoto, dare forma estetica alla propria Vita, riconciliarsi col passato, riaprirsi alla progettualità, scoprire le proprie radici, cercare una cura: sono diverse le ragioni che muovono uno scrittore prettamente autobiografo, ma tutte sono legate alla sfera privata, non a quella pubblica – da qui la non-necessità di rendere pubblica l’opera (così come suggerisce il verbo “pubblicare”).

Ciò detto, è probabile che il lavoro di stesura della propria storia sia un ottimo canovaccio da rielaborare creativamente per partire alla conquista del grande pubblico. Questa volta con tutta la progettualità che un potenziale best seller richiede.

 

 

tags: Personal Storytelling, Murakami, Susak, ELJames, autobiografia, autobiography, libera università autobiografia anghiari
categories: Personal Storytelling
Sunday 02.07.16
Posted by 00:am
 

La beatitudine della scrittura

Artgate_Fondazione_Cariplo_-_Canova_Antonio,_Insegnare_agli_ignoranti.jpg

Delle 9 beatitudini citate da Gesu’ nel discorso della montagna, ce n’è una in particolare che è stata oggetto della conferenza tenuta in questi giorni a Parma dal Prof Duccio Demetrio, guru italiano in fatto di autobiografia, fondatore della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.

Qual è? La misericordia.

Che rapporto c’è tra uno scrittore non credente, una parola trascendente e una pratica apparentemente obsoleta in età di social network, come l’autobiografia?

Come ho già scritto nel post "Riconciliarsi col passato", prendendo spunto dalle riflessioni di Michela Marzano, la scrittura offre una preziosa occasione di ri-affezione a se stessi.

Ma la misericordia è qualcosa di generalmente associato alla relazione con l’altro: smontando la parola, troviamo un etimo che ci parla di “cor” latino e di misereo, di miseria altrui, di compassione che ci porta istintivamente a sentire il dolore dell’altro.

Ecco allora che, rimanendo in questa accezione relazionale della parola, Demetrio cita l’arguta trasposizione contemporanea delle 7 opere di misericordia corporale proposte nel libro “Compassione”  del medico Giorgio Cosmacini, in cui ogni stazione viene presentata rovesciata: il dar da mangiare agli affamati si ribalta nell'esigenza di sottoalimentare gli obesi; dar da bere agli assetati si inverte nella regola di disassuefare i bevitori; vestire gli ignudi si trasforma nella resistenza alle invadenze della moda; alloggiare i pellegrini nel non respingere gli immigrati; visitare i malati nel non perdere il dialogo con i pazienti; visitare i carcerati è il non aggiungere pena a pena; seppellire i morti si traduce nel rispetto della dignità e della volontà di chi muore.

Ma introdurre il tema della scrittura autobiografica sposta il tema della misericordia su un piano tutto intimo e personale. Chi è il prossimo dentro di noi? Chi è, direbbe Anna Frank, quell’Anna “meno” che ha bisogno di essere perdonata dall’Anna “più?”

In fin dei conti, anche il perdonare se stessi non è cosa da poco, e la scrittura offre un valido aiuto a chi vuole farlo, guardando in faccia uno per uno i propri errori, schivando la tentazione di facili auto-assoluzioni.

Anzi, andando oltre, si potrebbe dire che proprio imparando a riconoscere dentro noi quel prossimo che ha bisogno di essere accettato , quella parte di noi che meno ci piace vedere, che consideriamo “altra da noi”, possiamo imparare ad accettare gli altri fuori di noi, perché – in fondo – gli altri sono dentro di noi, così come noi siamo dentro gli altri.

Ci sono situazioni in cui si passa tutta la vita a cercare di perdonarsi, con grande sofferenza, senza mai riuscirci fino in fondo.

E’ stata emozionante la lettura di un paio di poesie di un detenuto del carcere di Opera; versi scritti con “stimmate d’inchiostro” (cit.), desiderosi di tenere accesa la candela di una dolorosa memoria, onesti nel ripercorrere ogni passaggio di nottate perverse e violente, ancora capaci di stupore al pensiero di tramonti invisibili dietro il filo spinato, eloquenti nel trasmettere la sofferenza infinita di chi paga, sia pur meritatamente, con la perdita della libertà.

Trapelano, dalle poesie di questo detenuto, la caparbietà e la determinazione di chi vuole resistere alla propria storia, assumendosene la responsabilità fino in fondo, senza cedere a fughe reali o sintetiche.

Una fatica di vivere e di scrivere, che nasce dalla volontà strenua di essere misericordiosi con se stessi, quando sarebbe più semplice odiarsi o dimenticarsi di sé. Ma la misericordia non è cedimento: è resistenza e coraggio.

Oggi più che mai, in un momento storico in cui occorre trovare un modo nuovo di reagire alla brutalità, un modo che non sia né resa né attacco, è una parola su cui riflettere. 

tags: Duccio Demetrio, LUA, Libera Università Autobiografia Anghiari, scrittura, autobiografia, autobiography, metodo autobiografico, Personal Storytelling, Cosmacini, misericordia, beatitudine
Wednesday 11.18.15
Posted by 00:am
Comments: 1
 

Scrive l'autobiografia chi ha successo - Successful people writing their autobiography

Cos'hanno in comune Lena Dunham, Amy Schumer e Katy Perry? Il fatto di avere scritto la loro autobiografia a 30 anni - ben prima del tempo dei bilanci tipici della mezza età - e il modo in cui l'hanno fatto. Prima di diventare famose avevano vite normali, quindi hanno voluto raccontare storie di successo ad uso e consumo di aspiranti celeb, per indicare la via a chi ha voglia di sfondare. Il modo in cui l'hanno fatto è quasi sempre l'ironia, quella giusta distanza che permette di accettare le proprie imperfezioni sino a farle diventare il proprio punto di forza.

What do Lena Dunham, Amy Schumer and Katy Perry have in common? The fact of writing their autobiography in their thirties - well ahead the time of middle aged analysis - and the way they did it. Before becoming famous, they had normal lives, so they wanted to tell their success stories for wannabe celebs, to show them how to hit the big time.

 

Read more

tags: autobiografia, libera università autobiografia anghiari, autobiography, metodo autobiografico, Lena Dunham Amy Schumer Katy Perry, Katy Perry, Amy Schumer, Lena Dunham, irony, ironia, Anghiari
Wednesday 11.11.15
Posted by 00:am
 

00:am via d'annunzio 14  43124 Parma   p.iva 02409600349