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Il Sapore dei ricordi - laboratorio autobiografico

Prendi i 5 sensi, 10 libri d’autore, 1 quaderno vuoto, la tua penna preferita e fiducia a volontà.

Mescola tutto con vigore e partecipa a questo laboratorio di scrittura autobiografica, per ri-conoscerti attraverso i sapori salienti della tua vita.

Dove: Workout Pasubio Temporary - Parma WOPA Via Palermo 6 - PARMA

In collaborazione con “La città del sole” di Parma e l’erboristeria “L’Agrifoglio”

Il corso è per 20 partecipanti.

Il costo di iscrizione è di 70 euro per le tre lezioni.

Programma

WOPA 26/1/2017 - Lezione introduttiva con il Prof. Duccio Demetrio, guru italiano dell'autobiografica e fondatore della Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari

WOPA 2/2/2017 - Lab #1 UNA TAZZA DI ME’ – infusi su misura a colazione

WOPA 9/2/2017 - Lab #2 CENA CHEZ MOI – dal sapore dei piatti al mio sapore 

WOPA 16/2/2017 - Lab #3 GALA-GALA STORIES – il gusto della festa

Svolgimento

Leggeremo poesie e brani letterari per il piacere di ascoltare grandi voci e per stimolare il flusso dei ricordi. Sperimenteremo la rievocazione del passato attraverso esperienze sensoriali. I vostri fogli si riempiranno dei sapori del passato, di ricette dimenticate, di profumi difficili da ritrovare, suoni di voci che raccontano storie intorno a un tavolo. Rivivremo insieme momenti della nostra vita per donarci un gusto in più.

Saranno assegnati, di volta in volta, brevi esercizi di riflessione sulle attività svolte e di apertura verso il presente.

Docenti

Elisa Barbieri, personal storyteller e autrice, ha conseguito il titolo di consulente in scrittura autobiografica presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Blog: www.00am.it/blog e giuliettakelly.tumblr.com

Maria Concetta Antonetti, già insegnante di lingua inglese negli istituti superiori, ha conseguito il titolo di consulente in scrittura autobiografica presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.

 

PIU' INFO SULLA RASSEGNA - CLICCA QUI

tags: autobiografia, laboratorio, Personal Storytelling, Duccio Demetrio, LUA, Gola Gola Festival
Sunday 01.29.17
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UN ESPERIMENTO SULLE ORME DI PROUST

Sabato scorso si è ripetuto un insolito esperimento in cui un gruppo di donne, in un laboratorio di mia ideazione, ha messo alla prova il cosiddetto fenomeno Proust, per cui gusto e olfatto possono scatenare lampi che vanno a illuminare angoli bui della nostra memoria.

La lettura delle famose pagine dedicate alle briciole di madeleine sciolte nell’infuso di tiglio stupisce ancora oggi per la precisione con cui Proust, nel primo volume della sua lunghissima autobiografia Alla ricerca del tempo perduto, descrive l’affiorare del ricordo di zia Leonie, poi della casa e infine delle strade e delle piazze di Combray, dove Marcel passava le estati da bambino. Una città intera esce da una tazza di the e si ricostruisce davanti agli occhi dell’autore.

Proust descrive come la memoria si svela pian piano, come un domino in cui una tessera fa cadere la successiva e così via, una volta iniziato a dissodare il terreno dei ricordi. Ancora, Proust spiega come i ricordi non siano fotografie immutabili, bensì cambino nel tempo, si trasformino ogni volta che vengono richiamati alla memoria, coinvolgendo nella loro rievocazione un’attività creativa.

Era il 1913 quando fu pubblicato il primo dei 7 volumi della Recherche e cento anni dopo alcune scoperte neuroscientifiche hanno dimostrato come il gusto e l'olfatto siano in collegamento diretto con l'ippocampo, che svolge un ruolo importante nella memorizzazione, e come i due sensi abbiano un ruolo importante sia nella formazione dei ricordi che nella loro evocazione, confermando le intuizioni di Proust così dettagliatamente osservate e descritte nella Recherche.

Nel saggio Proust era un neuroscienziato il giovane ricercatore americano Jonah Lehrer mette in relazione le neuroscienze con l'arte e la letteratura e, in una sintesi tra cultura umanistica e cultura scientifica, analizza l'opera e le intuizioni di alcuni artisti, argomentando l’idea che la scienza non è l’unica via possibile per la conoscenza. Così come Marcel Proust ha penetrato i misteri della memoria immergendosi nei suoi ricordi e mettendoli in relazione con il gusto e l’olfatto, così Lehrer analizza come il poeta Walt Whitman abbia intuito le basi biologiche del pensiero umano; come la scrittura sperimentale di Gertrude Stein faccia presagire il lavoro di Noam Chomsky sulla grammatica; come la coscienza estetica di Stravinskij abbia anticipato le scoperte dei neuroscienziati sui modelli sviluppati dal cervello per il riconoscimento delle sequenze di note.

Alle partecipanti del laboratorio è stato chiesto di mettere a fuoco la ricetta del “piatto forte” della propria vita e di inviarla in anticipo alle docenti, cioè io e Lena Tritto, insegnante di cucina di casa e docente di scuola Tao. Questo primissimo esercizio, oltre a consentire a Lena di trasformarsi per l’occasione in “personal chef” e cucinare il piatto di ciascuna partecipante, ha portato le partecipanti a ripercorrere l’archivio dei propri ricordi sensoriali, entrando così già giorni prima nel clima autobiografico del laboratorio. Sempre all’insegna delle avanguardie dei primi del ‘900 i primi giochi autobiografici volti a sbloccare la penna dall’ansia da prestazione, con scritture automatiche e petit onze, fino ad arrivare a ricostruire la vera e propria storia dietro alla ricetta. E’ così che dietro a una ricetta apparentemente banale, come “Pizza”, si rivela come in uno stemma dinastico l’identità di un’intera famiglia, fatta di migrazioni e contaminazioni culturali e gastronomiche, attorno ad un unico punto fermo – la pizza, appunto.

Dopo aver scritto e condiviso con il gruppo, è arrivato il momento di assaggiare i piatti e andare così ciasuno a testare il fenomeno Proust, prestando attenzione a se vengono aggiunti dettagli al ricordo già dissodato ed emerso. Ma se ogni gruppo in autobiografia lavora col principio di Zygmunt Bauman dell’individualmente insieme, allora l’assaggio non è stato solo individuale ma condiviso: ognuno, dopo aver scoperto le storie celate dietro alle ricette scelte tra centinaia per essere rievocate questa celebrazione del “piatto del buon ricordo”, ha potuto assaggiare il gusto degli altri, arricchendo la propria immagine di profumi e sapori, in una grande sinestesia.

In questo insolito pranzo, Lena ha spiegato le proprietà energetiche dei diversi piatti, dei loro ingredienti e procedimenti, al fine di cucinarli per supportare il corpo nelle diverse stagioni e nelle necessità specifiche individuali.

Ricette, storie, micropoesie, fotografie, consigli nutrizionali, commenti e impressioni sono stati raccolti da ciascuna partecipante in un rice-diario decorato a mano nell’ultima parte del laboratorio, con timbri, scotch con stampe pattern, ritagli di carte di design create con fustellatrici Sizzix e altri materiali della tecnica scrapbook.

Un ringraziamento a Coop Alleanza 3.0 per aver reso possibile l’evento.

tags: Personal Storytelling, Proust, autobiografia
Tuesday 10.18.16
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La scomoda autobiografia di Neruda

Vivere da poeti è vivere senza ragionevolezza. È vivere vicino al cuore, è ascoltare il battito profondo della terra e l'alta sinfonia delle galassie, è guardare con l'occhio invisibile il reale più reale, ma nascosto, è essere guerrieri della pace.

Mi sento poeta, perché mi muovono la bellezza, la gratitudine, l'amore, l'entusiasmo, la gentilezza.

Purtroppo il business vuole inglobare in sé tutto, persino il poeta, vuole farci credere che il poeta è chi scrive e pubblica poesia.

Ma il poeta, prima di scrivere, è.

E la poesia, prima di essere un mestiere, è un atto di pace.

Il poeta crede nel vegetale, nell'animale, nell'umano, nel siderale e nel mistero. Certo, la storia addita qualche poeta deragliato negli aberranti nazionalismi, come Céline o Ezra Pound. Ma la maggior parte dei poeti ha vissuto del coraggio di essere contro e anti, a favore prima di tutto della proprio acuto sentire, nonostante solitudini opprimenti, nonostante - spesso - persecuzioni.

"Il poeta nasce dalla pace come il pane nasce dalla farina. Gli incendiari, i guerrieri, i lupi, cercano il poeta per bruciarlo, per ucciderlo, per sbranarlo. Uno spadaccino lasciò Puskin ferito a morte fra gli alberi di un parco desolato. I cavalli di polvere galopparono impazziti sul corpo senza vita di Petöfi. Byron morì in Grecia lottando contro la guerra. I fascisti spagnoli iniziarono la guerra in Spagna assassinando il loro maggior poeta". (Pablo Neruda, Confesso che ho vissuto)

Neruda è stato una lettura scomoda, persino pericolosa, per me poeta a metà, che cerco di combinare poesia e borghesia, che relego la poesia negli stanzini e nelle anticamere, fingendomi soldatessa nei saloni.

La vita del grande cileno è stata coraggio, lotta, fuga, ribellione, rischio. Ha sempre saputo di essere poeta, tant'è che Neruda è uno pseudonimo scelto per nascondere al padre - che non voleva un figlio poeta - la prima pubblicazione giovanile, uno pseudonimo scelto ingenuamente sfogliando una rivista, senza sapere che quello era il nome di un scrittore cecoslovacco molto famoso in patria.

Neruda ha viaggiato il mondo, prima con l'alibi di console del Cile, poi come ambasciatore di pace, ha combattuto per il proprio paese e per il popolo spagnolo contro Franco, ha condiviso case, cibo, idee e cause con i grandi poeti spagnoli, russi, francesi, sudamericani.

Ha fatto della sua vita una via di ricerca, in una solitudine a volte colossale.

Pablo Neruda con la moglie Matilde Urrutia, che ha curato la pubblicazione autobiografia del poeta dal titolo "Confesso che ho vissuto"

Pablo Neruda con la moglie Matilde Urrutia, che ha curato la pubblicazione autobiografia del poeta dal titolo "Confesso che ho vissuto"

Leggere l'autobiografia di Neruda "Confesso che ho vissuto" non solo mi ha scatenato un'ammirazione stupita, non solo mi ha stimolato l'appetito di Paul Eluard, Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Octavio Paz, non solo mi ha arricchito di tanti preziosi passi per la raccolta di citazioni che sto componendo da qualche anno, non solo mi ha portato in una Cina che non conoscevo e mi ha riportato in un Messico che ho conosciuto e amato, non solo mi ha scosso di parole e immagini sensazionali.

Il poeta mi ha interrogato sui fondamentali, ha puntato il dito dritto al cuore del mio cuore. Favorito forse da tête à tête notturni su una baia, in cui le luci degli alberi maestri si distinguono dalle stelle solo per il loro dondolio.

tags: autobiografia, autobiography, pabloneruda, neruda, poesia
Saturday 09.10.16
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5 buoni motivi per scrivere per se’ (non per pubblicare)

Ho terminato la mia autobiografia, stampata, rilegata, spedita a una lettrice incognita, infilate tra una Dickinson e un Balzac le copie destinate ai figli una volta raggiunta la maggiore età.

Mi sento sollevata ma soprattutto svuotata, come dopo ogni grande consegna. Cerco di riempire il vuoto parlandone con amici, i quali mi chiedono tutti se la pubblicherò. Noto che quando rispondo di no, l’interesse per il lavoro inesorabilmente scema.

La cosa mi delude un po’, così mi consolo traendone “food for thought”. Conosciamo bene i vantaggi della pubblicazione: qualche guadagno, gratificazioni, nuovi contatti e notorietà in caso di successo editoriale.

Certamente risulta più difficile capire perché mai ci si dovrebbe limitare a scrivere per se’ e per pochi eletti. Ma vi assicuro che non si tratta di un’idea insensata e qui di seguito proverò a convincervi con 5 motivazioni:

  • La libertà di seguire i propri gusti (e non quelli del mercato)

scrivere per sé significa non doversi preoccupare di quali sono i generi e i temi che vanno per la maggiore - possiamo scrivere ciò che più ci interessa e ci attrae, cercando di soddisfare un solo lettore (cha, tra l’altro, conosciamo benissimo): noi stessi. Niente sciatteria, quindi, anzi, al contrario, faremo di tutto perché lo stile della nostra opera ci assomigli più possibile

  • Portersi rivelare nella scrittura

scrivere per se’ consente di potersi rivelare nella scrittura nella propria intima sincerità, senza dover usare la scrittura per esprimere e allo stesso tempo celare, per nascondere aspetti di se’ che non si vorrebbero fossero riconosciuti, da nessuno o da qualcuno

  • Fare un dono e creare connessioni sintoniche

scrivere per se’ non vuol dire fare un’opera assolutamente privata e non condivisibile. Alcontrario, si può fare dono del proprio scritto ad alcune persone selezionate con cui ci si sente in sintonia, per mettere in moto uno scambio di idee e sentimenti e lasciare che il proprio seme germini e si diffonda spontaneamente, là dove crediamo che possa essere meglio recepito. E’ probabile che si creeranno nuove interessanti connessioni. In ogni caso, lo sguardo dell’altro sarà un momento di importante verifica e stimolo.

  • Dare alla propria storia l’importanza che merita

Spesso i libri interessano gli editori quando rappresentano storie con effetti speciali alla Murakami, condizioni estreme alla Susak o coté piccanti alla E. L. James

La maggior parte delle storie di vita sono molto più sottili e mano appariscenti, ma non per questo meno rilevanti. Scrivere il libro della propria vita per se’ consente di sottrarre la propria storia a mistificazioni compiute in nome dei numeri, permette di scrivere con il solo scopo di celebrare la Vita come maestra, di individuare e riconoscere i punti salienti che hanno formato la persona che si è diventati.

  • Raggiungere obiettivi personali attraverso la scrittura

Lasciare una traccia di se’, colmare un vuoto, dare forma estetica alla propria Vita, riconciliarsi col passato, riaprirsi alla progettualità, scoprire le proprie radici, cercare una cura: sono diverse le ragioni che muovono uno scrittore prettamente autobiografo, ma tutte sono legate alla sfera privata, non a quella pubblica – da qui la non-necessità di rendere pubblica l’opera (così come suggerisce il verbo “pubblicare”).

Ciò detto, è probabile che il lavoro di stesura della propria storia sia un ottimo canovaccio da rielaborare creativamente per partire alla conquista del grande pubblico. Questa volta con tutta la progettualità che un potenziale best seller richiede.

 

 

tags: Personal Storytelling, Murakami, Susak, ELJames, autobiografia, autobiography, libera università autobiografia anghiari
categories: Personal Storytelling
Sunday 02.07.16
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La beatitudine della scrittura

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Delle 9 beatitudini citate da Gesu’ nel discorso della montagna, ce n’è una in particolare che è stata oggetto della conferenza tenuta in questi giorni a Parma dal Prof Duccio Demetrio, guru italiano in fatto di autobiografia, fondatore della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.

Qual è? La misericordia.

Che rapporto c’è tra uno scrittore non credente, una parola trascendente e una pratica apparentemente obsoleta in età di social network, come l’autobiografia?

Come ho già scritto nel post "Riconciliarsi col passato", prendendo spunto dalle riflessioni di Michela Marzano, la scrittura offre una preziosa occasione di ri-affezione a se stessi.

Ma la misericordia è qualcosa di generalmente associato alla relazione con l’altro: smontando la parola, troviamo un etimo che ci parla di “cor” latino e di misereo, di miseria altrui, di compassione che ci porta istintivamente a sentire il dolore dell’altro.

Ecco allora che, rimanendo in questa accezione relazionale della parola, Demetrio cita l’arguta trasposizione contemporanea delle 7 opere di misericordia corporale proposte nel libro “Compassione”  del medico Giorgio Cosmacini, in cui ogni stazione viene presentata rovesciata: il dar da mangiare agli affamati si ribalta nell'esigenza di sottoalimentare gli obesi; dar da bere agli assetati si inverte nella regola di disassuefare i bevitori; vestire gli ignudi si trasforma nella resistenza alle invadenze della moda; alloggiare i pellegrini nel non respingere gli immigrati; visitare i malati nel non perdere il dialogo con i pazienti; visitare i carcerati è il non aggiungere pena a pena; seppellire i morti si traduce nel rispetto della dignità e della volontà di chi muore.

Ma introdurre il tema della scrittura autobiografica sposta il tema della misericordia su un piano tutto intimo e personale. Chi è il prossimo dentro di noi? Chi è, direbbe Anna Frank, quell’Anna “meno” che ha bisogno di essere perdonata dall’Anna “più?”

In fin dei conti, anche il perdonare se stessi non è cosa da poco, e la scrittura offre un valido aiuto a chi vuole farlo, guardando in faccia uno per uno i propri errori, schivando la tentazione di facili auto-assoluzioni.

Anzi, andando oltre, si potrebbe dire che proprio imparando a riconoscere dentro noi quel prossimo che ha bisogno di essere accettato , quella parte di noi che meno ci piace vedere, che consideriamo “altra da noi”, possiamo imparare ad accettare gli altri fuori di noi, perché – in fondo – gli altri sono dentro di noi, così come noi siamo dentro gli altri.

Ci sono situazioni in cui si passa tutta la vita a cercare di perdonarsi, con grande sofferenza, senza mai riuscirci fino in fondo.

E’ stata emozionante la lettura di un paio di poesie di un detenuto del carcere di Opera; versi scritti con “stimmate d’inchiostro” (cit.), desiderosi di tenere accesa la candela di una dolorosa memoria, onesti nel ripercorrere ogni passaggio di nottate perverse e violente, ancora capaci di stupore al pensiero di tramonti invisibili dietro il filo spinato, eloquenti nel trasmettere la sofferenza infinita di chi paga, sia pur meritatamente, con la perdita della libertà.

Trapelano, dalle poesie di questo detenuto, la caparbietà e la determinazione di chi vuole resistere alla propria storia, assumendosene la responsabilità fino in fondo, senza cedere a fughe reali o sintetiche.

Una fatica di vivere e di scrivere, che nasce dalla volontà strenua di essere misericordiosi con se stessi, quando sarebbe più semplice odiarsi o dimenticarsi di sé. Ma la misericordia non è cedimento: è resistenza e coraggio.

Oggi più che mai, in un momento storico in cui occorre trovare un modo nuovo di reagire alla brutalità, un modo che non sia né resa né attacco, è una parola su cui riflettere. 

tags: Duccio Demetrio, LUA, Libera Università Autobiografia Anghiari, scrittura, autobiografia, autobiography, metodo autobiografico, Personal Storytelling, Cosmacini, misericordia, beatitudine
Wednesday 11.18.15
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Scrive l'autobiografia chi ha successo - Successful people writing their autobiography

Cos'hanno in comune Lena Dunham, Amy Schumer e Katy Perry? Il fatto di avere scritto la loro autobiografia a 30 anni - ben prima del tempo dei bilanci tipici della mezza età - e il modo in cui l'hanno fatto. Prima di diventare famose avevano vite normali, quindi hanno voluto raccontare storie di successo ad uso e consumo di aspiranti celeb, per indicare la via a chi ha voglia di sfondare. Il modo in cui l'hanno fatto è quasi sempre l'ironia, quella giusta distanza che permette di accettare le proprie imperfezioni sino a farle diventare il proprio punto di forza.

What do Lena Dunham, Amy Schumer and Katy Perry have in common? The fact of writing their autobiography in their thirties - well ahead the time of middle aged analysis - and the way they did it. Before becoming famous, they had normal lives, so they wanted to tell their success stories for wannabe celebs, to show them how to hit the big time.

 

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tags: autobiografia, libera università autobiografia anghiari, autobiography, metodo autobiografico, Lena Dunham Amy Schumer Katy Perry, Katy Perry, Amy Schumer, Lena Dunham, irony, ironia, Anghiari
Wednesday 11.11.15
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Little Memories - autobiografia a misura di bambino

Per la matematica c’è Team Umizoomi, per l’inglese Disney Magic English, per le abilità musicali e il problem solving Dora l’Esploratrice: il palinsesto TV pullula di cartoons con finalità educative esplicite. Ma tra le materie del piano di studi televisivo per bambini in età prescolare mancava la psicologia, e allora è arrivato al cinema con Inside Out un film che parla proprio di questo, con il ritmo e la genialità iconica di Disney Pixar. 

Ecco allora le emozioni diventare personaggi che, tra un pasticcio e l’altro, proteggono la protagonista Rylie dai pericoli (Paura), la aiutano a trovare empatia (Tristezza), la salvano da possibili avvelenamenti (Disgusto), la fanno lottare contro le ingiustizie (Rabbia), fanno l’impossibile per compiere la missione di far felice Rylie (Gioia). 

Gioia è la leader del gruppo delle emozioni, quella che sente la responsabilità maggiore verso Rylie e che lotta per difendere il primato del pensiero positivo, salvo poi rendersi conto sul finale che la sua “ombra”, Tristezza, può essere in alcuni casi più utile di lei (e meno male! altrimenti chi, come me, è ormai affezionata alla propria ineludibile vena tragica e introversa avrebbe trovato un po’ falsata e superficiale la felicità sempre e a tutti i costi).

Allo scenario il compito di illustrare le funzionali celebrali della memoria, dell’astrazione, del subconscio, dell’immaginazione, del pensiero, della personalità - sotto forma di trenini, biblioteche, scantinati, luna park, deserti neri, isole fluttuanti.

Ma cosa c’entra tutto questo con il Personal Storytelling?

C’entra, perché questo film porta un linguaggio nuovo nell’ambito biografico e autobiografico, che tende solitamente ad avere una vena malinconia, data per scontata dal senso comune quando si parla di passato, di ricordi, del “c’era una volta, la mia storia”.  

Qui invece, al di là del fatto che l’aspetto divertente è dettato dalla natura di film di intrattenimento per bambini, c’è un atteggiamento diverso verso la memoria. I ricordi sono biglie di vetro contenenti le immagini dell’evento ricordato, che cambiano colore a seconda dell’emozione prevalente che li contraddistingue. Ci sono ricordi secondari e primari, ricordi del giorno e ricordi archiviati nella sterminata biblioteca della memoria a lungo termine, ricordi chiamati all’appello per rivivere nel centro di comando del cervello e ricordi caduti nel burrone dell’oblio, e persino ricordi-tormentone (per Rylie è la pubblicità di un dentifricio - e la capiamo bene, chi non ha in testa un motivetto assurdo che vorrebbe dimenticare senza riuscirci?). 

Ma i ricordi non sono immutabili, al contrario possono cambiare la loro posizione nel cervello - la sinapsi attivata dal ricordo di un amico immaginario porta fuori dal buio il ricordo di un razzo magico usato nel gioco con lui - ma, soprattutto i ricordi possono trasformarsi, cambiando la loro tonalità emotiva.

Lo sapeva già oltre 100 anni fa Marcel Proust, rendendosi conto nello scrivere la sua Recherche du Temps Perdu di aver ricordato più belli e colorati certi episodi di quanto in realtà non fossero stati, perché aveva trasformato il suo passato in un’epica dell’amore e dei turbamenti del suo tempo. 

Oggi l’intuizione di Proust è dimostrata scientificamente dalle neuroscienze, grazie ad esperimenti operati sulle cellule cerebrali delle rane e sui collegamenti sinaptici delle lumache di mare.  

Agli autori di Inside Out non poteva certo sfuggire questo aspetto. Proprio qui si gioca infatti la diatriba tra Gioia e Tristezza, gelosa custode dei ricordi primari di Rylie la prima, irresistibilmente attratta dagli stessi elementi costituitivi della personalità la seconda, però costantemente allontanata dalla prima perché considerata dannosa per la felicità di Rylie.  

Nel finale a sorpresa i ricordi primari, custoditi e difesi da Gioia nelle sue mille peripezie da incombenti cadute e dalla grinfie di Tristezza per tutta la durata del film, dovranno proprio passare da Tristezza perché Rylie possa comunicare il suo malessere ai genitori e ritrovare così la loro comprensione.

tags: Inside Out, Disney Pixar, Personal Storytelling, memoria, psicologia, emozioni, gioia, tristezza, paura, Rylie, autobiografia, biografia
Wednesday 10.28.15
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