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La Scomparsa di Me – incontro con Gianluigi Ricuperati ad Anghiari

E’ il tempo il tema del Festival dell’Autobiografia di Anghiari 2018. E siccome ho dentro un’insospettabile quanto implacabile vena provocatoria, ho invitato a partecipare all’evento uno che il tempo lo divora, lo prende in giro e lo sconvolge. Nel suo ultimo romanzo “La scomparsa di me” – e non solo. 

Gianluigi Ricuperati si muove agilmente nelle mille opportunità della vita, balzando con talento disinvolto da un emisfero all’altro, muovendosi sul massimo comune denominatore di ogni arte, sempre fedele alla creatività e alla regola della fecondità, in senso lato. 

Quarant’anni, torinese, Gianluigi Ricuperati è non solo scrittore, saggista e giornalista, è anche ex direttore creativo di Domus, curatore, traduttore, appassionato d’arte e di architettura, direttore artistico di eventi culturali, consulente di immagine e comunicazione. Uno che va a cena con Orhan Pamuk e viaggia con Hans-Ulrich Obrist. Uno con cui ho avuto a che fare per il progetto “I gusti degli altri”, da cui ho imparato che, se si ha coraggio, si può davvero affidarsi a chi ti ispira, anche se sconosciuto, e non restare delusi.

Domani avrò il piacere e l’onore di presentare Gianluigi Ricuperati al Teatro di Anghiari e di parlare con lui di tempo. Un tempo sofisticato, quello che descrive nel suo romanzo (o autobiografia? o tutt'e due? lo scopriremo!). Un tempo narrato con eleganza ispirata alla fisica quantistica, il tempo anarchico, microscopico, impersonale di una microparticella velocissima e mutevole.

E il tempo futuro, quello che Gianluigi ha investigato parlando con le 100 migliori menti del futuro nel suo libro 100 Global Minds, pubblicato dalla irlandese Roads e illustrato da David Johnson.

E poi parleremo di qualcosa di molto importante, che vede in Gianluigi, con il suo Institute for Production of Wonder, uno dei propulsori più illuminati del nostro paese: il legame tra arte e cultura. 

Oltre a questo inizio con l’energia frizzante di Ricuperati, il programma del Festival continua con incontri e laboratori per chi ama leggere, scrivere, fermarsi e riflettere. Cose desuete oggi, ma più che mai necessarie. E pure piacevoli, soprattutto in un borgo medievale di intatta bellezza.

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categories: Personal Storytelling
Thursday 08.30.18
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Prendi un poeta, un contadino, un panettiere. O un sognatore.

FESTIVAL DELLA LENTEZZA
COLORNO, 15-17 GIUGNO 2018

Prendi un poeta, un contadino, un panettiere. O un sognatore. Mettili tutti intorno a un tavolo e osservali bene. Che cos’hanno in comune? Ognuno di essi sa fare una cosa soltanto: coltivare.

Mi scorre dentro una grande emozione per la prossima edizione del Festival della Lentezza di Colorno. Non solo perché avrò il piacere di condurre un laboratorio di scrittura autobiografica sul Coltivare il gusto dei ricordi (domenica 17 h 10,30 presso la biblioteca) SIETE CALOROSAMENTE INVITATI (iscrizione sul sito lentezza.org)  ma anche e soprattutto perché sarà un'edizione eccezionale: un tema fondamentale e attualissimo (Coltivare), il coinvolgimento della Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari, con la presenza di Duccio Demetrio, Anna Maria Pedretti e tanti altri fautori di questa comunità di scrittori unica al mondo, e gli interventi delle mie rockstar personali, da Umberto Galimberti a Stefano Mancuso a Erri De Luca.

 

 

tags: Festival lentezza, Colorno, Personal Storytelling
categories: Laboratory, Personal Storytelling
Monday 06.11.18
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Autobiografia in azienda?

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In alcuni luoghi di lavoro si indossano maschere e armature, in altri invece si può essere sé stessi, confidando nella fiducia reciproca. Ci sono luoghi in cui il calcolo sostiene i giochi di potere e ci sono luoghi in cui l'autenticità, intesa come integrità rispetto ai propri valori, premia. Ci sono luoghi, in cui i direttori vengono cambiati spesso per evitare che creino rapporti umani significativi con clienti e collaboratori e ci sono realtà produttive, spesso italiane e familiari, in cui i rapporti professionali si estendono per decenni, perché si cresce insieme lavorando.

L'autobiografia in azienda non fa per tutti, e certo calza molto meglio al secondo tipo di imprese che ho descritto, perché introduce un elemento di verità, di scambio autentico e profondo, che ha bisogno di un contesto di fiducia di base.

Ma a cosa serve l'autobiografia in azienda? 

La scrittura è espressione privilegiata del linguaggio, perché riesce a dissipare il caos che spesso attanaglia la nostra mente, impedendoci di strutturare ed esprimere il nostro pensiero. 

E’ forse un caso che, quando vogliamo chiarire qualcosa a noi stessi in primis, stendiamo un elenco o uno schema con carta e penna?

E che tipo di scrittura autobiografica può essere utile in azienda? Sicuramente una narrazione della propria storia professionale all’interno di un gruppo, condotto da un esperto, che si riunisce per affrontare con strumenti nuovi i temi cruciali su cui le organizzazioni sono chiamate a lavorare oggi, temi come il cambiamento, la riorganizzazione, la creazione di una nuova identità, la trasformazione digitale, i valori fondativi.

La condivisione delle storie di vita, resa più facile da un lato dall’esposizione di sé a cui ci ha abituato i social media e resa più difficile, dall’altro lato. dalla frammentazione a cui gli stessi social media ci hanno costretto, spingendoci ad adattarci al mezzo a discapito della nostra complessità, ci consente di ritrovare unità - unità tra sé e sé e unità all’interno del gruppo, che aumenta la conoscenza reciproca, rinsalda i legami e stimola l’appartenenza.

Ma non è tanto la scrittura da sola ad essere uno strumento da rivalutare, quanto il metodo autobiografico fondato sulle regole stabilite dal patto ideato da Philippe Lejeune, uno dei massimi studiosi in materia. Le regole di questo patto si basano sul rispetto per le altre storie di vita, sull’assenza di giudizio, sul confronto basato sull’esperienza e non sull’opinione. Ciò consenta di confrontarsi in modo costruttivo, nel rispetto delle molteplici esperienze, poiché si tratta di uno strumento che rispecchia l'unicità e la preziosità di ciascun contributo.

Quando poi la scrittura autobiografica è sostenuta dalla riflessione filosofica e seguita dalla capacità di visualizzare creativamente i risultati raggiunti dal gruppo di lavoro – come succede nel laboratorio CLOE – allora possiamo parlare di un approccio completamente nuovo alle sfide del cambiamento in azienda. 

 

Autobiography in enterprises

In some working places one wears masks and armors, in others one can be oneself, putting faith in mutual trust. There are working places where calculations sustain power games and there are  working places where authenticity, meant as integrity in accordance to one’s values, pays. There are places where directors are changed fast to avoid them bonding with clients and collaborators and there are companies, often Italian family-managed ones, where professional relationships go on for decades, because people grow together by working together.

Autobiography inside the organization is not for everybody and for sure it fits much better the second type of companies I described, as it introduces deep truth and authentic sharing – something that requires a trustful context.

But what is autobiography in companies for?

Writing is a privileged expression of language, as it dissolves the chaos that often grips our mind, preventing us from structuring and expressing our thoughts. Is it a coincidence, that when we want to make clear something to ourselves, we take pen and paper and we write a draft, a scheme, a list?

And which kind of autobiography can be useful for a company? 

For sure a professional personal storytelling inside a group, lead by an expert, focusing on some crucial theme, such as change management, re-organization, rebranding, digital transformation, values.

The sharing of personal stories has become from one side easier, because of the exposition of the self to which social media got us used to and, from the other side, it has become more difficult, as the same social media forced us to adapt ourselves to specific communication goals, threatening our complexity and unity. The advantages of personal storytelling in a company is the increase of mutual understanding, of the sense of belonging, of the creative approach.

It’s not just autobiographical writing itself that needs being taken into consideration as a new, valuable chance to manage change, but even more the autobiographical method founded on the rules established by the autobiographical pact by Philippe Lejeune, one of the maximum experts of this field. The rules of this pact are based on respect for life stories, on absence of judgement and criticism, on sharing based on experience and not on opinions. This method allows people in a group to dialogue in a constructive way, respecting the various points of view, the unicity and preciousness of every contribution.

When the autobiographical writing is sustained by philosophical thinking and followed by creative visualization of the group’s results – as it happens with the CLOE laboratory – then we can talk of a completely new approach to the challenge of change in companies.

 

 

categories: Personal Storytelling
Wednesday 04.11.18
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Angelo Seminara’s Stolen Vase – a story of rare hands

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Sala Umberto, Rome, late 90’s. Angelo Seminara is rehearsing one of his first hairshows. Since the 20’s the theatre has been the temple of vaudeville in Rome; even Totò performed here. An object used as a simple prop grabs Angelo’s attention: a ceramic vase, with a gently rounded shape, recalling a classic handmade Murano glass. The vase is covered with an overlay of an extra-fine woven texture, in a natural color. Angelo grabs it. He can feel the soft, regular rhythm of the thin straw threads under his fingertips. It’s like touching those traditional rush-covered straw mats, originally used in Japan as seating for aristocrats, samurai and priests.

He closes his eyes. What if this superb, ancient, noble craft could be infused into hairdressing? On the flight back, the vase, safely wrapped, nestles in Angelo’s luggage. More than a keepsafe of the Roman trip, it’s a memory trigger for the future. Memento! used to say Latins, meaning a phrase or a monument intended as an exhortation to remember. The vase finds a prominent place in Angelo’s London studio, providing a constant warning not to forget the stunning beauty that patient, skillful, time-oblivious hands can create.

In the following years, while developing his research on the use of hair as a raw material for experimental handicraft, Angelo cannot stop wondering if he will ever be able to bring that level of tiny detail to hair.

Finally, after a nearly 20-year interlude, Angelo comes up with a new technique called Tatami; a technique that brings hairdressing one step forward, by achieving an unbelievable subtlety of texture, something nearly impossible to create manually.

Now that his persistent efforts have resulted in an astonishing outcome, Angelo is planning a visit to Rome to replace the stolen vase, full of gratitude for an object, that has allowed him to take a long and fruitful journey through the many possibilities of hairdressing.

Watch the video

Since nearly 20 years, Angelo Seminara is carrying on a special research on the use of hair as a raw material for experimental handicraft. In particular, he has been looking for a way to infuse into hairdressing the superb, ancient and noble craft of Tatami, the traditional rush-covered straw mats, originally used in Japan as seating for aristocrats, samurai and priests.

Finally in 2018, Angelo comes up with a new technique, called Tatami, that brings hairdressing one step forward, by achieving an unbelievable subtlety of texture, nearly impossible to create manually.

This technique, which brings the tiny detail of straw weave to hair, is even more: it’s Angelo’s latest independent fashion collection, where the rigorous order of woven hair is masterfully counterbalanced by texturized loose hair in big volumes. Like a modern day Frida Kahlo or a contemporary geisha, the woman pictured in the collection is free, self-confident and inventive. Her make up is daring, her clothes sophisticated and boldly combined.

The transgressive side of the project is powerfully aroused by the tense atmosphere of the video clip, where a mysterious museum exhibits heads of hair instead of works of art.

 

tags: Angelo Seminara, british hairdresser of the year, tatami, Alessandro Molinari, Elisa Barbieri, Personal Storytelling
categories: Personal Storytelling
Tuesday 03.13.18
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Marie Louise Sciò – The Hotel Couture Personal Storytelling – Episode#3

photo Francesco Vitali

photo Francesco Vitali

Marie Louise Sciò, creative director at Pellicano Group, is one of those women you can fall in love with at first sight. At least, for me it has been enough to see her in the first sequence of a Semaine video, where she shakes an espresso with a multicolor turban on her head and an half-embarassed half-amused expression on her face.

And then, indeed, the Pellicano … what a wonderful hotspot is this hotel on a reef on the Tyrrhenian blue! My dream would have been to interview her over there, where she grew up. Instead, she invited us to her Roman flat. Comfy and chic, ça va sans dire. And from there this short story, entitled “Open Challenge”, starts. 

Marie Louise Sciò, direttrice creativa del Pellicano Group, è una di quelle di cui ti puoi innamorare a prima vista. Almeno, per me. Mi è bastato vederla nella prima scena di un video di Semaine, col turbante multicolor in testa, shakerare un espresso al pool bar del Pellicano con un’espressione fra il divertito e l’imbarazzato. E poi, appunto, Il Pellicano… ma vogliamo parlare di cos’è quell’angolo di scogliera sul blu tirreno? Il mio sogno sarebbe stato intervistarla proprio lì, dove è cresciuta. E invece ci ha invitato nel suo appartamento romano. Comodo e chic, ça va sans dire. E da lì parte questo racconto, intitolato “Sfida Aperta” (Open Challenge).

tags: marie louise scio, il pellicano, Personal Storytelling, The Hotel Couture, Storytelling, Elisa Barbieri, 00:am
categories: Personal Storytelling
Tuesday 02.27.18
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Ori Kafri - The Hotel Couture Personal Storytelling - Episode #1 →

photo Francesco Vitali

photo Francesco Vitali

This time I meet The Hotel Couture's “people behind the scenes” and enter their secret room to catch inspiration for the website’s columne entitled The Conversazioni – phantastic short stories I have written, fascinated by the biographies of personalities with composite identities, divergent vision and irregular trajectories.

Let’s start by Ori Kafri, an avant-garde hotelier, the creative and innovative founder of JK Place. He was born in Florence to two Israeli entrepreneurs who came to Florence from Tel Aviv in 1976. After much travelling and pursuing studies in economics and tourism, in 2003 Ori Kafri opened JK Place Firenze aged just 24. It was followed by JK Place Roma and JK Place Capri, nominated by Tatler in 2008 the world’s best hotels. JK Place hotels are luxury boutique hotels, housed in renovated historical buildings furnished by Florentine architect Michele Bönan, inspired by a distinctly human approach to service, discretion and the utmost personalisation. 

Ori Kafri entertained me for hours in his JK Place Florence, chatting in a gentle and placid way. A peculiar anedocte emerged during the interview – regarding the party in Rappaport’s villa in Los Angeles transformed into JK Malibu – has been the glimmer for this short story, entitled “The unexpected visit”. 

Questa volta sconfino dietro le quinte di The Hotel Couture, per andare a togliere il velo del mistero sui proprietari, personalità intriganti che ispirano la rubrica del sito THC intitolata The Conversazioni. Sono racconti fantastici che ho scritto affascinata dalle biografie di personaggi con identità composite, traiettorie irregolari e pensiero divergente.

Cominciamo da Ori Kafri, hôtelier d’avanguardia, creativo e innovatore, nato a Firenze da una coppia di imprenditori israeliani arrivati da Tel Aviv a Firenze nel 1976. Dopo molti viaggi e studi di economia e turismo, a soli 24 anni Ori Kafri apre il JK Place Firenze, cui seguiranno il JK Place Roma e il JK Place Capri, nominati nel 2008 dalla rivista Tatler i migliori hotel del mondo. I JK Place sono boutique hotels di lusso situati in palazzi storici ristrutturati e arredati dall’architetto fiorentino Michele Bönan, ispirati ad un approccio squisitamente umano al servizio, alla discrezione e alla massima personalizzazione, 

Ori Kafri mi ha intrattenuto per ore nel suo JK Place di Firenze conversando con modi pacati e gentili d’altri tempi. Un aneddoto particolare emerso durante l’intervista, la festa nella villa di Rappaport a Los Angeles trasformata in JK Malibu, è stata la scintilla che ha fatto nascere questo racconto, intitolato “La visita inaspettata”.

tags: Ori Kafri, JK Place, The Hotel Couture, Robert Rabensteiner, Personal Storytelling, Elisa Barbieri, giulietta kelly, 00:am
categories: Personal Storytelling
Tuesday 02.13.18
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Online il documentario sulla Stazione Creativa 2017 - Il Parco Ideale

La Stazione Creativa sul Parco Ideale ideata da Studio Azzurro è stata per gli artisti di Parma la possibilità di fare un’esperienza unica: lavorare insieme, per oltre un mese, nello stesso spazio, ad un progetto comune. Condividendo il tempo, lo spazio, le idee ed i linguaggi. Come spesso mi capita, con il mio approccio autobiografico, mi trovo dentro e fuori le cose. Dentro l’arte, dentro le aziende, dentro l’università – e allo stesso tempo guardandole da fuori.

Per la prima volta ho avuto modo di lavorare con la scrittura autobiografica in questo modo: tenendo un laboratorio sui “Giardini Privati” e rielaborando gli scritti degli studenti creando da essi un testo-madre – mi è venuto spontaneo chiamarlo così, in un lavoro che aveva a che fare con la terra – che è stato adattato alle varie opere, nella forma, nella lunghezza, nella sostanza. Dai petit onze a forma di albero per C999 al collage orale per “One man in a park is looking for something” di Antonio Pipolo, ai murales per Kinetipark di Rhapsomedia.

Quella scritta è diventata parola viva, agita, con un etimo interno al vissuto dell’esperimento Stazione Creativa  - non parola casuale, appicciata, stonata.

Ma al di là dell’aspetto letterario, la cosa migliore, è stato scoprire il messaggio racchiuso nelle parole degli studenti: il parco Ideale non esiste. Se si cerca la natura pura, meglio un bosco di montagna o un’isola deserta. Se invece quello che ci cerca sono le amicizie, il contatto umano in generale, allora l’architettura del parco conta poco. Anche un parco marginale come quello di Via Venezia - se frequentato, giocato, illuminato, sonorizzato – può diventare ideale.  Gli amici della pista rossa di Via Montanara ben lo sanno J

 

Per saperne di più, eccovi il documentario sulla Stazione Creativa creato dai bravissimi di Kinoki.

tags: Studio Azzurro, Parma 360, Autobiografia
categories: Personal Storytelling
Tuesday 02.06.18
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The secret fo The Renaissance - Personal Storytelling Miniseries - Episode #7

According to UNESCO, more then 60% of the world's most important works of art are located in Italy and approximately half of these in Florence, the masterpiece of the Renaissance. Michelangelo, Donatello, Botticelli, Raphael, Tizian, Brunelleschi, the universal genius Leonardo da Vinci: The Renaissance is the Golden Age of Art, flourishing in every field.

It all started and happened in Florence, during a period spreading from 1300-1600, with its climax under Lorenzo de Medici.

How did it happen, that so many genius of art came together in such a short period in one place? Was it a freaking preponderance of artistic skills or an unsurpassed wealth? Is a new Renaissance possibile nowadays? Do we lack money, or rather something else? What would we see, if we would look at our world with the eyes of a Renaissance artist, thinker or leader?

Here’s a story with some food for thought.

 

Secondo l’Unesco, oltre il 60% delle opere d’arte mondiali si trovano in Italia e circa la metà di queste a Firenze, il capolavoro del Rinascimento. Michelangelo, Donatello, Botticelli, Raffaello, Tiziano, Brunelleschi, il genio universale Leonardo da Vinci: il Rinascimento è l’età dell’oro delle arti, che fioriscono in ogni campo.

Tutto inizia e succede a Firenze, in un periodo di tempo dipanato tra il 1300 e il 1600, con il suo apice raggiunto grazie al mecenate Lorenzo de’ Medici.

Come è potuto succedere, che così tanti geni artistici si siano trovati nello stesso periodo in un unico luogo? Si è trattato di una stravagante preponderanza di talento artistico oppure di un’insuperata disponibilità di risorse economiche? Oggi è possibile un nuovo Rinascimento? Ci mancano soldi o piuttosto qualcos’altro? Cosa vedremmo oggi, se guardassimo il nostro mondo con gli occhi di un artista, pensatore o leader rinascimentale?

Ecco qui una storia con spunti di riflessione.

 

Visual Credits: The School of Life

tags: Renaissance, Rinascimento, Michelangelo, Donatello, Raffaello, Brunelleschi, Personal Storytelling, Elisa Barbieri, giulietta kelly, Diller Scofidio, 00:am
categories: Personal Storytelling
Tuesday 01.09.18
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Pina Bausch: a “saint on roller skates” - Personal Storytelling Miniseries Episode #6

 

Since the 70’s her work arouses an intense aesthetic pleasure and a strong identification with the audience, this is granted. But Pina Bausch’s story goes beyond and becomes a life lesson for anybody who risk to loose themselves into the technical rigidity of their profession. This danger exixts for artists, first of all, but not exclusively. Let’s think, for example, at physicians who follow procedures and ignore patients, or at scientists who forgot ethics.

One single sentence, pronounced by a gispy girl, has been enough to let Pina Bausch take wing from ballet to her invention of Tanztheater. A completely new world, where dancers do not dance to represent the ideal of perfection, but to celebrate real life.  

Discover with this video the whole story of the woman described by Fellini as a “saint on roller skates”.

 

Pina Bausch: una “santa sui pattini a rotelle” - Personal Storytelling Miniseries - Episodio n°6

Dagli anni ’70, la sua opera suscita un intenso godimento estetico e una forte immedesimazione nello spettatore, questo è fuori di dubbio. Ma la storia di Pina Bausch va oltre e diventa lezione di vita per chiunque rischi di perdersi nei tecnicismi della professione, perdendo il legame con la vita. Questo pericolo esiste in primis per gli artisti, ma non solo. Pensiamo ai medici che seguono protocolli e ignorano i pazienti o agli scienziati che hanno dimenticato l’etica. Una sola frase, detta a mo’ di esortazione da una ragazza zingara, è bastata a far spiccare il salto di non ritorno a Pina Bausch, dal mondo del balletto a quello radicalmente nuovo, di sua invenzione, del Tanztheater. Un mondo dove si danza non la bella forma, ma la vita.

Per scoprire la storia della donna definita da Fellini “una santa sui pattini a rotelle”, guarda il mio video.

 

tags: pina bausch, wim wenders, tanztheater, wuppertal, Personal Storytelling, personal storytelling, Elisa Barbieri, giulietta kelly
categories: Personal Storytelling
Wednesday 01.03.18
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IF YOU WANT THE MOON, BE PREPARED TO FAIL _ Personal Storytelling Miniseries Episode #5

Rice University, 1962. Before a crowd of 35000 people, President John F Kennedy boldly lays out his challenge to put a man on the Moon. In a speech, that is a master in the art of rethoric, he inflames the audience by appealing to the burning nucleus of mankind. What is, that makes the difference between humans and animals? In this episode, I’ll be talking of the virtues of mistakes, and even failures, and their importance, in order to reach challenging goals. 

Università di Rice, 1962. Di fronte a un pubblico di 35000 persone il Presidente americano John F Kennedy afferma coraggiosamente di voler portare un uomo sulla luna. Nel suo discorso, esempio di retorica magistrale, infiamma gli animi, facendo leva su ciò che rappresenta il nucleo ardente dell’umanità. Dove risiede la differenza tra uomini e animali? In questo episodio, parlerò delle virtù degli errori e persino dei fallimenti, e della loro importanza nel raggiungimento di obiettivi temerari. 

tags: Storytelling, Personal Storytelling, JFK, John Kennedy, Moon, Failure, Success
categories: Personal Storytelling
Tuesday 12.19.17
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ENZO FERRARI - The agitator of men - Personal Storytelling Miniseries - Episode #4

Many biographies have been written about Enzo Ferrari, the most famous Italian man in the world. But the far more interesting one is his own autobiography, where he writes opinions, data and memories in a very concise, minimalistic, nearly aphoristic style (he wrote for example that “the second one is the first of the last”). And he writes about something unexpected: the importance of forgiveness.

How and why in this 4th epidose if my Personal Storytelling Miniseries.

 

Di Enzo Ferrari, l’italiano più famoso al mondo, sono state scritte innumerevoli biografie. Ma quella più interessante è senza dubbio quella scritta da lui stesso, dove con stile asciutto, quasi aforistico (celeberrimo il suo "Il secondo è il primo degli ultimi"), il pioniere dell'automobilismo sportivo snocciola pareri, dati e soprattutto ricordi. E parla di qualcosa che non ci si aspetterebbe da lui: l’importanza del perdono.

Ecco come e perché in questo 4° episodio della mia Miniserie di Personal Storytelling,

 

 

tags: enzoferrari, petercollins, nikilauda, personal storytelling, Personal Storytelling, racingcars, ferrari, ferraricars, ferrarired, manuel fangio, maranello
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Tuesday 12.12.17
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MARIA MONTESSORI The Educational Superwoman - Personal Storytelling Miniseries Episode #3

What do Larry Page and Sergey Brin (Google’s founders), Jimmi Wales (Wikipedia’s founder) and many other Silicon Valley successful CEOs have in common? They have all been educated at Montessori schools, with a 100-years-old pedagogical method. Isn’t it weird? What has Maria Montessori and her method to do with the future and with being first?

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Cos'hanno in comune Larry Page e Sergey Brin (fondatori di Google) con Jimmi Wales (fondatore di Wikipedia) e molti altri imprenditori di successo della Silicon Valley? Hanno tutti studiato in scuole Montessori, con un metodo vecchio di 100 anni. Non è strano? Che cosa c'entra allora aMaria Montessori ed il suo metodo con il futuro e con l'essere i primi al mondo?

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tags: mariamontessori, montessori, education, storytelling, Personal Storytelling
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Tuesday 12.05.17
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You You Tu, the story of the 1st female Chinese Nobel Laureate

Mini Personal Storytelling Series by Elisa Barbieri: Episode#2.

Eccoci arrivati al secondo episodio della mini-serie di Personal Storytelling, dedicato a YOU YOU TU, prima donna cinese a ricevere il Premio Nobel. You You Tu ha fatto scoperte importantissime in ambito medico, scoperte che hanno salvato milioni di vite grazie all'uso dell'artemisinina contro la malaria, un principio attivo scoperto dall'ultraottantenne farmacista cinese scavando negli antichi libri della Medicina Tradizionale Cinese. Il Premio arriva a 40 anni di distanza dall'esito delle ricerche. Perché?

Dedicated to YOU YOU TU, the 1st female Chinese Nobel Laureate. She won the Prize for her medical discoveries concerning a novel therapy against Malaria, which has saved millions of lives, a therapy originating into Chinese Traditional medicine. The prestigious award arrives after 40 years from the outcome of her researches. Why?

tags: youyoutu, tuyouyou, Personal Storytelling
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Tuesday 11.21.17
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L’era della narrazione, tra storytelling e post-verità

La bibliografia di matrice anglosassone ha sempre classificato la produzione letteraria in due macro categorie: fiction e non fiction. Una distinzione, quella tra racconti di fantasia e documentazione realistica, che non esiste in tutte le lingue e tantomeno nella lingua di quel popolo di poeti, che siamo (eravamo? dovremmo essere?) noi italiani.

Per una volta possiamo dire di essere stati più lungimiranti noi, perché il boom dello storytelling poggia proprio sul superamento di questa dicotomia. Oggi lo storytelling rappresenta, con il suo mix di dati di fatto e lavoro d'immaginazione, una nuova prospettiva di ricerca di senso, quel senso di cui abbiamo bisogno per riempire il vuoto lasciato dal crollo di religioni, ideologie e altri fenomeni di massa (eccetto il calcio). Non esente da rischi, certo, ed ecco allora la necessità di uno storytelling guidato dall’etica.

Esemplare la scena finale di The Hateful Eight di Tarantino, quando uno dei due sopravvissuti al massacro nel saloon legge all'altro una falsa lettera di ringraziamento di Lincoln. Il trattamento colore dell'immagine vira sul blu, rosso e bianco, i colori della bandiera americana. Come a dire: ecco cosa rimane di questo paese, una storia finta, che però serve a motivare, a dare significato, a orientare le azioni. Con questa provocazione apre The Narrative Age - Convegno Nazionale dell'Osservatorio Storytelling del 25.11 a Milano il filosofo Roberto Mordacci, che vede lo storytelling come conseguenza della riscoperta da parte dei giovani filosofi, della responsabilità della verità, in opposizione alla scuola dei vecchi filosofi, ancora sostenitori di quel pensiero post-moderno per cui non esiste la verità, se mai tante ed equipollenti verità.

Tutto il contrario del "raccontare storie" insomma.  Questa precisazione è quanto mai necessaria, perché nel mondo della comunicazione il termine storytelling tende ad essere abusato e travisato.

Fare storytelling significa cercare una storia e darle vita per incontrare un pubblico con l'appeal dell'onestà, della gentilezza, del pensiero laterale, della creatività, dell'impegno - in una giungla in cui il marketing tradizionale, aggressivo, dal linguaggio che è un grido di guerra (il pubblico come "target da colpire"), dalle iperboli e dalle false promesse ha perso credibilità e, soprattutto efficacia. Perché in una proliferazione di messaggi tutti simili, fare storytelling per un brand significa cercare la propria anima e, cercandola, costruirla. Magari, come fu nella versione biblica della creazione, nominando prima di tutto qualcosa perché prenda vita. Parlare di anima non è blasfemo - perché un brand cos'è, se non persone?

Lo storytelling è come una mappa medievale: la rappresentazione di un micro mondo dove convivono pacificamente il Mar Rosso e l'Eden, il Papa e gli sciapodi (esseri mitologici con una sola gamba), elefanti ed unicorni, ossia dati di realtà e creature fantastiche.

Oggi questa commistione esiste in ogni ambito della comunicazione, anche in quello che più di tutti si penserebbe ne fosse lontano, ad esempio il mondo dell’informazione. Dietro ad ogni immagine e testo c’è una costruzione della realtà da un preciso punto di vista. Basta pensare ai racconti geopolitici dell'ISIS, ad esempio. Per arrivare ad apici assurdi e divertenti, come il fenomeno del turismo finzionale (ad esempio, il binario 9 e 3/4 di King’s Cross a Londra osannato dai fan di Harry Potter) oppure il finto documentario sulla prova dell'esistenza delle sirene Mermaids – The body found, citato dal Direttore dell'Osservatorio Storytelling Andrea Fontana nello stesso convegno di cui sopra.

Eppure questo non deve scandalizzarci, quanto smaliziarci, cioè spingerci a interrogare le storie che ci vengono proposte, per indovinarne la regia e smontarne il costrutto narrativo.

Persino l’autobiografia, ambito a me molto caro, non è scevra dalla commistione di fatti realmente accaduti e fatti inventati. Pur perseguendo un ideale di verità, quando la memoria ritrova i ricordi, essa procede creativamente. I ricordi, infatti – come le neuroscienze hanno recentemente confermato – non sono mai uguali a se stessi, ma si trasformano nel tempo. E questo per quanto riguarda la prima fase dell’autobiografia (quella del dissodare il terreno della memoria), mentre nelle fasi successive, della sceneggiatura del racconto di vita, l’attività progettuale creativa è ancora più evidente.

Ma torniamo allo storytelling come nuova frontiera del marketing e quindi in relazione al brand. Per un brand costruire la propria storia significa confrontarsi con la propria identità, valori, etica, visioni. Cercare la propria storia è il primo passo che un'organizzazione possa fare per dare il meglio di sé. Quello successivo è dare vita ad una core-story, o storia-cardine, e amplificarla costruendo un immaginario, uno storyworlding necessario a rendere tangibile la storia stesso.

Presente la Misericordina di Papa Francesco? Un altro esempio ancora?

Il video Always #LikeAGirl - Girl Emojis prodotto da Always, marca di assorbenti, mostrato sempre al convegno dal direttore creativo Paolo Iabichino.

72% of girls feel that society limits them, by dictating what they should and shouldn't do. Sometimes, these limiting messages can be found in unexpected and subtle places - like on your phone. They may seem small, but emojis are more than just funny faces. They've become how girls express themselves in text and online.

Un video in cui il prodotto non si vede e non si nomina (se non nella schermata finale). Piuttosto si comunica una particolare sensibilità del brand verso un problema percepito dal pubblico di riferimento, cioè il fatto che le ragazzine non si sentono interpretate dal linguaggio stereotipato degli emoticons. Se una ragazzina vuole chattare ed esprimere con un emoticon che il weekend andrà a surfare, troverà l’icona del ragazzo sul surf, non della ragazza. Troverà in compenso molte icone di ragazze che si fanno lo smalto o danzano.

Un allargamento di prospettiva, un lavoro di ascolto del cliente/lettore, un approccio impegnato, un lavoro apprezzato dal pubblico con 18.857.303 di visualizzazioni.

Sul terreno dello storytelling, è sulla possibilità di toccare la sensibilità del pubblico, che il brand si gioca tutto.

Non solo perché è l'ultima strategia di comunicazione, non solo perché è qualcosa di più vicino al bespoke che alla mass production, ma anche e soprattutto perché porta il brand a interrogarsi su come contribuire alla costruzione del futuro con un messaggio originale e necessario.

Disegnare il futuro è opera d’immaginazione.

Ma tutto ciò che è diventato realtà non avrebbe potuto diventarlo, se qualcuno prima non lo avesse immaginato. E raccontato.

tags: storytelling, posverità, thenarrativeage
categories: Personal Storytelling, Storytelling
Friday 12.09.16
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Travel Personal Storytelling: Ivo from Mljet

Ivo Pitarevic, portrait by Alessandro Molinari

Ivo Pitarevic, portrait by Alessandro Molinari

ITALIANO

Vent'anni fa, molto prima di Airbnb, Home Away, Home Exchange, Homelidays, a Cuba sopopolava la moda delle case particular, cubani che avevano trasformato la loro casa, o più spesso parte di essa, in struttura turistica. Cosi avevo soggiornato a L'Havana, a Trinidad, a Cuernavaca, dove l'accoglienza era spesso più che spartana - nell'ultima delle località citate, al tempo ancora ben poco sviluppata, la famiglia ci aveva ceduto la sua capanna nel bananeto ed era andata a stare dai vicini.

Ora che viaggiare preferendo agli hotel le case della gente è diventato un grande sistema digitalizzato ed un piccolo business per molti giovani disoccupati disposti a condividere una stanza del loro appartamento, approfitto sempre di questa possibilità.

E così, abitando nelle case delle persone, scrutando le loro letture, indovinando le loro abitudini dall'organizzazione degli spazi, immaginando la loro personalità osservando gli arredi, ho conosciuto intimamente - pur senza averli mai incontrati - Florin di Londra, Yves di Parigi, Trevor di Minorca e altri.

Comincia però con Ivo di Mljet la rubrica di Personal Storytelling dedicata al viaggio "personal", o "particular", come direbbero i cubani.

Monti aspri come cuoio frusto sulla costa croata, i versanti solcati dalle bianche diagonali delle strade, con improvvisce strisce di verde, segno di portentosi venti e umidità, il bianco ottico delle pale eoliche e delle vele issate sugli alberi maestri. Verso sud sbiadiscono nella foschia i rilievi del litorale dalmata, montenegrino e poi albanese. Dalla barca da pescatore dipinta di fresco d'azzurro, le onde sembrano le falde della gonna di un immenso dervisci tourner. Dalle trasparenze dell'acqua bassa, si intravede il dondolio della poseidonia oceanica, con le lunghe foglie ossidate dalla salsedine. In una piccola radura di questa prateria sotterranea, s'aggrappa al fondo una stella marina.

Mljet incanta con i suoi aromi balsamici, coi suoi fichi maturi, i suoi melograni e bergamotti, col verde accecante dei suoi pini d' Aleppo, che misteriosamente ricoprono la crosta di quest'isola su cui si narra che Ulisse incontrò Calipso.

Qui ci è venuto incontro all'arrivo un pescatore alto due metri, a torso nudo e con pantaloncini consunti, un po' gobbo, con la voce profonda, gli occhi malinconici e le sopracciglia folte e lunghissime.

Eliza, you arrive here, all alone! You have so much positive energy!

Ha continuato a tuonare ogni giorno, tra le pulizie degli appartamenti, le uscite a pesca, il check out di un ospite o la grigliata per un altro.

Ivo, si chiama quest'omone filiforme, dallo sguardo buono e dalla gran voglia di parlare, nonostante l'inglese precario. Gli piace insegnare, a Ivo. Racconta di corde, boe, ancore, catene, venti, onde senza coniugare i verbi, infilando qua e là parole croate, italiane e dialetto dalmaziano, poi ti chiede "Understand?" e, dopo tutti i suoi sforzi, non puoi che dirgli di si.

Ci offre il pesce che pesca, entra in cucina e preleva dal tegame per allungarcelo un generoso assaggio di quello che sta cucinando la moglie Mirjana, cuoca all'ospedale di Dubrovnik ed ex cuoca dello Stermasi, il miglior ristorante dell'isola. Mai mangiato un capretto arrosto cosi fenomenale!

Ivo ci offrirebbe tutto, prenoterebbe per noi un sole della giusta temperatura e un maestrale della giusta intensità, se sapesse la lingua ci racconterebbe barzellette per tenerci allegri. Ha staccato dalla rete da pesca che decora la parete della sua cucina un'enorme conchiglia per scusarsi di un disguido irrilevante. Ci ha portato con lui a pescare, ci ha spiegato il motore entrobordo, la pesca con le gabbie, ci ha fatto impugnare il timone. Alla terza gabbia che ha sollevato dalle profondità, orrore!, due murene! Eliza go back! Mi ha fatto spostare, ho preso mio figlio in braccio mentre lui rilasciava sul pagliolato i due neri rettili di mare e subito ha cominciato a colpirli con una clava finché ha ammazzato la grande, mentre la piccola è riuscita a sgusciare via e infilarsi sotto il motore. Ivo allora ha preso il coltello e l'ha tirata fuori infilzata per la gola.

Ivo è un gigante sanguigno, affettuosamente invadente, osservatore, istintivo, curioso della gente, con un rispetto antico e una semplicità saggia che lo tiene vicino al suo cuore. E' un romantico che ancora aspetta il tramonto per caricare sua moglie Mirijana e due birre sulla barca e fare rotta verso il sole rosso.

Oggi, giorno dell'Assunzione di Maria in cielo e a due mesi dalla morte della madre, per la prima volta Ivo ha indossato le scarpe e i pantaloni lunghi, e col figlio più piccolo e più solare dei tre è salito sull'auto bella per andare alla processione, contrariato solo dal rifiuto della figlia di andare con lui.

Era bastato parlargli per telefono per capire che per quell'uomo concreto nulla era più importante della parola data, del contatto umano, delle stagioni per pescare e raccogliere le olive. Per abuso d'empatia, al telefono mi ero messa a parlare un inglese così ingolfato, che mio marito si chiedeva cosa mi stette succedendo.

Don't worry Eliza, no problem. Ripete Ivo, anche quando ci s'inceppa il motore della barca che ci ha noleggiato.

Per Ivo di Mljet, sindaco di Saplunara, grande fan dell'energia positiva e grande oppositore dell'industria e dell'arroganza, tutto si aggiusta, basta non avere fretta. Ma in fin dei conti, che fretta bisognerebbe mai avere affacciati  su una baia silenziosa dal nome dolce e avvolgente come Saplunara?

 

ENGLISH

Twenty years ago, long before Airbnb, Home Away, Home Exchange, Homelidays, in Cuba the casa particular was the hottest trend. Cubans used to transform their house or part of it into a bed and breakfast. I stayed in a casa particular in L'Havana, in Trinidad, in Cuernavaca -  in the last one, a tiny seaside village, at that time still undeveloped for tourism, a family gave us their shed in the middle of a banana orchard and went to stay at the neighbours shed.

Now that travelling by staying in people' s houses have become a big digitalized system and a small business for young unemployed, I usually take advantage of this possibility.

By staying in private accomodations, you get to know people without even meeting them, only by observing the layout and the interior design of their flat, by peeping into their books, paintings, pictures. It' in this way that I got to know Florin from London, Yves from Paris, Trevor from Minorca and others.

But it's with Ivo from Mljet - whom I get to know directly, as he lives just beside the flats - hat this Travel Personal Storytelling section begins.

Harsh mountains like worn leather on the croation coast, the slopes ploughed by white roads, with sudden green stripes, sign of prodigious winds and humidity, the optical white of the eolic generators and of the sails on the masts. Southwards the croatian, then montenegrin, then albanian reliefs fade into the haze. From our fishing boat newly painted in light blue, waves look like the skirt of an enormous dervisci tourner. Under transparent water you can see the swinging of the poseidonia oceanica with its long leaves oxidized by salt. In a little clearing of this underwater grassland, a starfish grabs on to the ocean floor.

Mljet enchants with its balsamic herbs, figs, bergamots and pomegranates, with the blinding green of its Aleppo pines, that misteriously cover the crustal plate of this island, where it is said that Odysseus met Calypso.

Here we have been welcomed by fisherman and former sailor Ivo, a two-meter-tall man, a bit round-shouldered, bare-chested, with worn shorts, a deep voice,  melancholic eyes and extra long eye brows.

"Eliza you made it all alone til here! You are so full of positive energy!" he kept on thundering everyday, between one cleaning, a check out or a grill and another.

Ivo, that's the name of this thin man, with a mild look and who likes to chat, despite his poor English. He likes to teach, also. He talks about ropes, boats, waves, fish, winds, buoys, chains, without conjugating verbs, inserting here and there Dalmatian, Croatian, Italian words, then he asks you full of hope "Understand?" and you cannot but say yes, after his such big effort.

He offers us the fish he fished in the morning, he goes into his kitchen and takes out of the pan one big portion for us of some typical dish that is beeing cooked by his wife Mirjan, now cook at the Dubrovnik hospital and former first chef at Stermasi, Mljet's best restaurant, where you can taste delicious under-the-bell octopus or lamb. Never tasted a better kid then Mirjana's one!

Ivo would offer us everything, would book for us the right air temperature, would make jokes all the times to keep us cheerful. He removed a huge shell from the fishing net decorating his kitchen's wall and gave it to me to apologize for an irrelevant mistake.

He took us to fishing with him, explained to us how his boat's engine and fishing with cages work, he let us take the helm. At the third cage he lifted from the depth of the sea - horror! - two moray eels! Eliza go back! I picked my son up while he released the black sea snakes on the floor of the boat and started to hit them with a stick. He killed the big one whereas the second one managed to flew and hide under the motor. Then Ivo took a knife and he pulled it out pierced through the throat.

Ivo is a full-blooded giant, an affectionately intrusive person, an observer who can still trust his instinct, have respect and be authentically close to his heart. He's a romantic husband who takes his wife on his fishing boat with two beer bottles and heads for the sun at sunset time.

Today it's Virgin Mary's Assumption day and Ivo has put on for the first time in ten days long- sleeved shirt and long trousers. He has taken the good car and has driven to Koriza with the youngest son, the most cheerful one, to the service. When he left he was a bit nervous, I guess maybe it was because his daughter did not want to go.

It had been enough talking to him over the phone for the reservation to seize that, for that practical man, nothing was more important then a promise, a dialogue, and the season for fishing and picking olives. This all was a perfect premise for the relaxing holiday I was looking forward to. For enthusiasm and an excess of empathy, I started talking with him in a totally basic, even stammering, English.

Don't worry Eliza, no problem, keeps on saying Ivo, also when the engine of the boat we rented from him would not start again.

For Ivo from Mljet, mayor of Saplunara, a big fan of positive energy and a fighter of industry and arrogance,  everything can be fixed, you just do not need to hurry.

On the other hand, why should you ever hurry up, in the peaceful bay with the sweet name of Saplunara?

by Elisa Barbieri

 

Contact

Ivo Pitarevic

http://www.apartments-ivo-mljet.hr/en/

 

tags: Travel Personal Storytelling
categories: Personal Storytelling
Monday 08.29.16
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Io, chi? Intervista al filosofo Thomas Metzinger sull’identità nella realtà virtuale

Il filosofo Thomas Metzinger dell'Università di Mainz

Il filosofo Thomas Metzinger dell'Università di Mainz

Sarà perchè, come autobiografa, ho impiegato per mesi a ricostruire il mio io. Sarà perché come mamma ho passato sere con altri genitori coinvolti nel progetto Cittadinanza Digitale per produrre una carta etica del comportamento online. Oppure sarà perché una sera un amico, direttore IT di un grosso ente, mi ha invitato a cena e mi ha fatto provare dei visori 3D di ultima generazione sotto forma di occhiali in cui si inserisce il cellulare e si ha la possibilità di immergersi completamente in una realtà virtuale, che si cotruisce seguendo le direzioni del proprio sguardo.

Più probabilmente sarà per tutti e tre questi motivi insieme, che mi ha colpito l'intervista apparsa sul settimanale tedesco der Spiegel al filosofo Thomas Metzinger. La rivoluzione digitale ci permette di assumere altre identità. Dove ci porta questo? Alla perdita dell’io?

E’ tutto possibile. Persino robot che soffrono per davvero – sostiene Metzinger.

Traduco l’intervista per voi.

SPIEGEL: Signor Metzinger, per un ricercatore della coscienza deve essere un periodo interessante, questo. Essere tante persone contemporaneamente è reso possibile dalla rivoluzione digitale: posso essere elfo, se voglio, oppure cyberpunk oppure gladiatore o nano…

METZINGER: …posso immergermi totalmente nella realtà virutale indossando dei visori 3d sotto forma di occhiali e sperimentare come cambia la sensazione di me stesso e di quello che riteniamo essere la nostra esperienza consapevole, reale ed autentica. Quest’anno è probabile che questi prodotti entrino sul mercato in modo massiccio.

SPIEGEL: Li ha provati?

METZINGER: Naturalmente. Nella realtà virtuale sono stati sviluppati dei modelli corporei molto buoni, praticamente già i primi modelli di un io artificale. L’ultima volta che ero in laboratorio, mi sono incarnato in una donna, che era alta come un ragazzino di 14 anni. Ho guardato con i suoi occhi, poi tutto d’un tratto lei è stata aggredita da un altro Avatar.

SPIEGEL: Spiacevole…

METZINGER: Per un momento mi sono spaventato: indossavo questi visori 3D sotto forma di occhiali, ero seduto in una stanza, immerso nella realtà virtuale, nella TV davano un video musicale, c’era un camino col fuoco acceso, quando ho guardato in basso e mi sono accorto, che il mio Avatar non era ancora stato creato. Avevo la sensazione di essere seduto, ma guardando in basso ho visto solo la sedia vuota.

SPIEGEL: Mancava qualcosa…

METZINGER: Si, il mio corpo. Raccapricciante.

SPIEGEL: A cosa servono queste prove?

METZINGER: Hanno a che fare con la percezione. Per esempio, ci possono essere molti utilizzi clinici, nella psicoterapia, ad esempio, oppure per creare ambienti di apprendimento completamente nuovi. Ci si può allenare a combattere la paura dell’altezza, gli anoressici possono fare una nuova esperienza del loro corpo, ci sono esperimenti per costruire avatar per le persone paralizzate attraverso un’interfaccia cervello-computer.

Le tecnologie di realtà virtuale possono servire per facilitare l’empatia, oppure per distruggerla. Questi metodi sono potenti strumenti di manipolazione psicologica. Ora è importante stabilire degli standard etici, per la ricerca, certo, ma anche per la quotidianità, per la relazione interpersonale nella realtà virtuale.

SPIEGEL: Come filosofo che studia il confine tra scienze della natura e dello spirito, ci dica: cosa fa di noi la realtà virtuale? Come cambia la rivoluzione digitale ciò che intendiamo per “io”.

METZINGER: Di preciso non lo sa nessuno. Quello che sta succedendo ora è una specie di esperiemento di massa. Può essere che l’identificazione totale con gli Avatar cambi la percezione dell’Io, all’inizio in maniera impercettibile. Potrebbe essere che le persone, che per lungo tempo vivono nella realtà virtuale, in seguito possano soffrire di disturbi di spersonalizzazione, ossia la sensazione cronica che il corpo reale, nel mondo vero, non sia più reale. Oppure il fatto di percepirsi come degli automi oppure che tutto ciò che ci circonda sia un sogno.

SPIEGEL: Le novità sono sempre minacciose. Nel 18mo secolo si temeva che l’ascesa del romanzo potesse scatenare una “foga da lettura” nei giovani. Poi è diventato un pericolo la Tv, ora Internet.

METZINGER: E Platone ha criticato già nel Fedro la scrittura, per via del fatto che indebolisce la memoria e non sia adatta al trasferimento della saggezza. La realtà virtuale che abbiamo studiato, è però diversa da un film o da una chatroom. L’utente ha una percezione diversa perché tutto ciò che lo circonda è stato disegnato dai creatori della realtà virtuale. La persona che si muove all’interno della realtà virtuale vive l’illusione di possedere e controllare un corpo, che non è il suo. Questa tecnica cambia il rapporto con noi stessi. SPIEGEL: Lo spazio virtuale e più in generale digitale è un mare di possibilità: cosa che non deve essere per forza cattiva. In Facebook ci sono circa 60 tipi di identità di genere. Posso decidere liberamente, se voglio essere uomo, donna, transessuale, bianco o nero. Da qui l’eterna domanda: chi sono? Chi voglio essere? Decidere non è allettante?

METZINGER: Se non si perde la propria autonomia spirituale, sì. Cliccando su Internet abbiamo una gamma di opzioni infinita, certo. Ma c’è anche il rischio enorme che ciò che clicchiamo non sia la migliore delle opzioni. Questo ci mette dubbi e in realtà l’essere umano non ama l’insicurezza. Un brillante scienziato inglese, Karl Friston, ha sviluppato un modello matematico, che precisa l’idea di base di Kant e Helmholtz in relazione a ciò che fa il cervello. Semplificando, il cervello fa sempre questo: riduce l’insicurezza, evita le brutte sorprese.

SPIEGEL: Perché abbiamo così paura?

METZINGER: Noi esseri umani col nostro cervello siamo sistemi che cercano costantemente le prove della propria esistenza. Vogliamo costantemente sapere, se esistiamo ancora. Abbiamo bisogno di segni che dicano: non sono morto, sto bene. La vita e la coscienza sono profezie di auto-realizzazione.

SPIEGEL: Così come i maniaci di Twitter o dei selfie, che devono sempre far sapere al mondo tutto ciò che stanno facendo. Come dire: guardate qui, ci sono, esisto.

METZINGER: Si l’estensione isterica e costante del modello di sé nel mondo dei media.

[…]

SPIEGEL: Anche la realtà virtuale ha bisogno di nuove forme di coscienza. Tant’è, che Lei ha già presentato un codice etico di comportamento online.

METZINGER: Si, perché ci sono tanti aspetti da chiarire. C’è bisogno di un “diritto al proprio avatar”, connesso al diritto d’utilizzo della propria imagine? Presto si potranno resuscitare i morti, come Avatar. Che conseguenza ha questo sull’elaborazione del lutto da parte di chi rimane, è un bene o un male? Quali sono i costi delle conseguenze psicosociali dello sviluppo delle nuove tecnologie, se sempre più giovani diventeranno dipendenti? Presto si potrà entrare in un film porno in modo molto più profondo e interattivo, con un’esperienza corporea completa, che coinvolge anche il senso del tatto, potendo quindi prendere parte direttamente anche ad azioni perseguibili fino a poco prima nel mondo reale. Cosa succederà alle persone? L’industria del porno deve essere fortemente regolamentata, allora?

SPIEGEL: Fino ad ora l’abbiamo seguita: nuovi sviluppi portano nuove conseguenze. Ma nel suo libro “Il tunnel dell’io”, che ha presentato da poco, lei mette in guardia rispetto alla creazione di un coscienze artificiali. Con un’argomentazione singolare.

METZINGER: La mia tesi è che non dovremmo creare soggetti artificiali, perché in questo modo potremmo produrre una grande quantità di dolore, senza che sia necessario.

SPIEGEL: Robot che soffrono?

METZINGER: Si, è pensabile.

SPIEGEL: Davvero, robot che soffrono? Non sono né persone, né animali, né piante. Solo macchine.

METZINGER: L’hardware è insignificante. All’interno dell’intelligenza artificale c’è un dibattito su alcuni soggetti artificiali eccezionali

SPIEGEL: Cioè quelli che dispongono di una coscienza?

METZINGER: Si. Oggi possiamo costruire robot che simulano il dolore in modo fantastico, che hanno sensori e magari persino urlano, e nessuno crede che loro sentano davvero male. Ma prima o poi questo dolore ci sarà veramente. La biorobotica costruisce robot con hardware biologico. Ci sono ricercatori che costruiscono robot capaci di curiosità, fame, sete, rabbia – si tratta di esseri ancora senza coscienza, ma prima o poi ci arriveremo.

SPIEGEL: Davvero?

METZINGER: Dico: se vogliamo mettere in campo un’evoluzione artificale della coscienza – cosa che non succederà sicuramente né oggi né domani, ma forse un po’ dopo sì – allora ci sarebbe un rischio molto alto. Potremmo smuovere delle cascate, duplicare tramite Internet molte copie di modelli di coscienza artificiale, che probabilmente soffriranno della loro esistenza.

SPIEGEL: Questa è fantascienza.

METZINGER: Ma penso che ce se ne debba occupare.

[…]

In fin dei conti, questa storia dei robot che s’innamorano, godono e poi s’arrabbiano, s’ingelosiscono e vanno per la loro strada non l’avevamo già vista nel film “Lei”? Solo che solo qualche anno fa, nel 2013, quando che la sceneggiatura di Spike Jonze vinse l’Oscar, pensavamo fosse una storia di fiction (e non di probabile prossima non-fiction). J

A questo link, invece, un video in cui si mostra come le nuove tecnologie possono migliorare la vita e le relazioni dei portatori di handicap.

https://www.aktion-mensch.de/neuenaehe?et_cid=58&et_lid=274024

 

 

tags: identity, virtual reality, ethical code
categories: Personal Storytelling
Monday 05.30.16
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5 buoni motivi per scrivere per se’ (non per pubblicare)

Ho terminato la mia autobiografia, stampata, rilegata, spedita a una lettrice incognita, infilate tra una Dickinson e un Balzac le copie destinate ai figli una volta raggiunta la maggiore età.

Mi sento sollevata ma soprattutto svuotata, come dopo ogni grande consegna. Cerco di riempire il vuoto parlandone con amici, i quali mi chiedono tutti se la pubblicherò. Noto che quando rispondo di no, l’interesse per il lavoro inesorabilmente scema.

La cosa mi delude un po’, così mi consolo traendone “food for thought”. Conosciamo bene i vantaggi della pubblicazione: qualche guadagno, gratificazioni, nuovi contatti e notorietà in caso di successo editoriale.

Certamente risulta più difficile capire perché mai ci si dovrebbe limitare a scrivere per se’ e per pochi eletti. Ma vi assicuro che non si tratta di un’idea insensata e qui di seguito proverò a convincervi con 5 motivazioni:

  • La libertà di seguire i propri gusti (e non quelli del mercato)

scrivere per sé significa non doversi preoccupare di quali sono i generi e i temi che vanno per la maggiore - possiamo scrivere ciò che più ci interessa e ci attrae, cercando di soddisfare un solo lettore (cha, tra l’altro, conosciamo benissimo): noi stessi. Niente sciatteria, quindi, anzi, al contrario, faremo di tutto perché lo stile della nostra opera ci assomigli più possibile

  • Portersi rivelare nella scrittura

scrivere per se’ consente di potersi rivelare nella scrittura nella propria intima sincerità, senza dover usare la scrittura per esprimere e allo stesso tempo celare, per nascondere aspetti di se’ che non si vorrebbero fossero riconosciuti, da nessuno o da qualcuno

  • Fare un dono e creare connessioni sintoniche

scrivere per se’ non vuol dire fare un’opera assolutamente privata e non condivisibile. Alcontrario, si può fare dono del proprio scritto ad alcune persone selezionate con cui ci si sente in sintonia, per mettere in moto uno scambio di idee e sentimenti e lasciare che il proprio seme germini e si diffonda spontaneamente, là dove crediamo che possa essere meglio recepito. E’ probabile che si creeranno nuove interessanti connessioni. In ogni caso, lo sguardo dell’altro sarà un momento di importante verifica e stimolo.

  • Dare alla propria storia l’importanza che merita

Spesso i libri interessano gli editori quando rappresentano storie con effetti speciali alla Murakami, condizioni estreme alla Susak o coté piccanti alla E. L. James

La maggior parte delle storie di vita sono molto più sottili e mano appariscenti, ma non per questo meno rilevanti. Scrivere il libro della propria vita per se’ consente di sottrarre la propria storia a mistificazioni compiute in nome dei numeri, permette di scrivere con il solo scopo di celebrare la Vita come maestra, di individuare e riconoscere i punti salienti che hanno formato la persona che si è diventati.

  • Raggiungere obiettivi personali attraverso la scrittura

Lasciare una traccia di se’, colmare un vuoto, dare forma estetica alla propria Vita, riconciliarsi col passato, riaprirsi alla progettualità, scoprire le proprie radici, cercare una cura: sono diverse le ragioni che muovono uno scrittore prettamente autobiografo, ma tutte sono legate alla sfera privata, non a quella pubblica – da qui la non-necessità di rendere pubblica l’opera (così come suggerisce il verbo “pubblicare”).

Ciò detto, è probabile che il lavoro di stesura della propria storia sia un ottimo canovaccio da rielaborare creativamente per partire alla conquista del grande pubblico. Questa volta con tutta la progettualità che un potenziale best seller richiede.

 

 

tags: Personal Storytelling, Murakami, Susak, ELJames, autobiografia, autobiography, libera università autobiografia anghiari
categories: Personal Storytelling
Sunday 02.07.16
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