• Works
  • Personal Storytelling
  • Blog
  • About
  • Garagedesign
  • Contacts
00:am
  • Works
  • Personal Storytelling
  • Blog
  • About
  • Garagedesign
  • Contacts

Scrivere è una questione di sguardo – conversazione con l’autore Marco Frigerio

oggi-sto-proprio-bene-2-653x1024.jpg

Il piacere di sentirsi un bambino che ascolta le storie raccontate dalla nonna,un piacere che si riaccende scrivendo e pregustando il piacere che, a propria volta, si darà ai lettori. Così, con spirito incantato (e incantevole), Marco Frigerio, chimico visionario, racconta storie poliedriche, che portano a viaggiare nel tempo e nello spazio, storie diversissime ma tutte accomunate da un alone di mistero, che le rende attraenti e inafferrabili. Qualche settimana fa, ho avuto il piacere di incontrarlo e di presentare presso Il Mondo Yoga Studio il suo libro “Oggi mi sento proprio bene”, edito da La Erudita. Ecco qua per voi, il resoconto di una conversazione, che fa capire quanto l’essere scrittori sia, più di tutto, una questione di sguardo.      

  • Sei uno scrittore poliedrico, i tuoi racconti spaziano da ambientazioni fantastiche ad ad altre storiche. Pensiamo al Medio Evo leggendario del racconto Il Frate o al futuro da fantascienza di L'esplorazione di Venere 603. Come nasce un tuo racconto? Quali sono le tue fonti di ricerca e ispirazione?

I miei racconti nascono dal piacere di “ascoltare” storie.

Storie come quelle che si raccontano gli amici a cena o al bar oppure le storie che raccontano le nonne ai nipotini.

E quindi dalla voglia di aggiungermi a questa narrazione verbale, che per essere una “buona” narrazione verbale deve essere scorrevole e fluida, caratteristiche che mi sforzo di perseguire nella mia scrittura.

Le fonti di ricerca e di ispirazione sono le più varie. Sicuramente lo sono le impressioni visive: come un paesaggio, un albero on un oggetto (una noce, una foglia). Ad esempio, il racconto “Mamarce Fleluske” nasce dall’ambra, questa resina fossile colorata come l’oro e che spesso racchiude tracce del passato: insetti, pezzetti di legno, piccoli sassi.

Il racconto “Il sonnambulo” nasce da alcune tavole di Tex, così come da impressioni lasciate da racconti di Calvino e Buzzati.

Oltre alle immagini, la Storia rappresenta una fonte inesauribile di inspirazione. Soprattutto la storia antica e preistorica, i cui reperti parlano di un uomo “maturo e moderno” fin dalla più lontana notte dei tempi. Ben prima degli egizi o dei sumeri, noi uomini di 40.000 anni fa riuscivamo a dipingere grotte fantastiche (Altamira, Lascaux), mostrando una sensibilità raffinata acconto a quella che, noi moderni crediamo, una vita selvaggia.

Le cose, in realtà, non mi sembrano molte cambiate negli ultimi 40.000 anni.

  • Ciò che rende grande uno scrittore non è una scuola di scrittura ma la capacità di visione, quello che Flanery O'Connor chiamerebbe sguardo anagogico, Massimo Recalcati differenza tra la realtà e reale, Carlo Rovelli una lezione di fisica e Novalis la missione di ri-creare la terra. Tante prospettive diverse per esprimere lo stesso concetto: esistono diversi livelli di realtà. La scrittura nasce dalla capacità di esercitare uno sguardo investigativo sulla realtà, capace di andare oltre, per cogliere diversi livelli di vita. Sei d'accordo?

Assolutamente sì, in particolare trovo che la definizione di Novalis: di ri-creare la terra, sia particolarmente centrata.

Quando leggiamo un romanzo o un racconto, entriamo veramente in un mondo nuovo, che l’autore ha creato per noi lettori, ma che il lettore a sua volta modifica con la sua esperienza e la sua storia personale, fatto che permette ad ognuno di noi di leggere in modo originale e personale il mondo propostoci dalla pagina scritta.  

  •  Il tuo libro è intriso di mistero, un mistero che irrompe nella normalità quotidiana, sconquassandola (Spaghetti alle vongole) e con sconfinamenti nel surreale (Le mani, Il sonnambulo). Come alleni questo sguardo anagogico?

Il mistero e il fantastico sono una modalità utilizzata da sempre in letteratura (penso a Omero o Kafka, passando per Ariosto e Shakespeare) per mostrare i diversi aspetti della realtà.

Come si allena lo sguardo anagogico e fantastico? Ascoltando le persone, camminando per le strade, uscendo di casa, leggendo giornali, libri fumetti e guardando le cose con uno “sguardo laterale”, obliquo rispetto a quanto di omologato ci viene proposto da tg, serie tv e chiacchere da bar (notate: chiacchere e non “fole”, che sono splendidi “racconti assurdi, iperbolici, improbabili, spudorati, sboroni e anagogici”).

  • Essere un chimico è un ostacolo o una risorsa del tuo essere scrittore?

E’ sicuramente una risorsa. Il chimico è per sua natura uno che modifica cose, combinando la materia conosciuta per creare una nuova materia.

Così lo scrittore combina le parole per creare, come dicevano prima, mondi nuovi.

Inoltre il chimico è “uno che cerca”. Cerca senza sapere cosa troverà alla fine del suo viaggio di ricerca.

Molti tra i miei racconti narrano storie di esplorazioni (Orso; Mamarce, Base antartica, Venere603), forse perché sia come scrittore che come chimico mi piace uscire dal seminato. Cercare cose nuove, alzarmi e uscire di casa per esplorare il mondo fuori.  

 

  • Perché scrivi?

Scrivo per il piacere di ascoltare storie. E scrivo perché è un’esigenza come respirare, mangiare e muoversi. Altri fanno sport, io scrivo.

 

  • Si dice che lo scrittore di romanzi sia un architetto disciplinato, mentre il poeta un mistico folgorato dall'ispirazione. Lo scrittore di racconti brevi è una via di mezzo tra i due o cosa?

Concordo almeno in parte. I romanzi e i racconti sono un tipo di scrittura tra loro molto simile. La poesia è tutta un’altra cosa.

Scrivere poesie è difficilissimo. La poesia dice le cose che non si possono dire. E la poesia è l’unico modo che abbiamo per esprimerle.

Penso a Ungaretti e Rimbaud o alla Szymborska o a Yeats e Pessoa.

 

Scrivere romanzi o racconti è “semplicemente” narrare cose, pensieri, storie. Sicuramente scrivere romanzi richiedono una capacità architettonica maggiore rispetto quella necessaria per i racconti.

Ma anche questi, romanzi e racconti, possono tranquillamente essere visionari e mistici: “I fratelli Karamazov”, “la Metamorfosi” “il maestro e Margherita” “Le città invisibili” “Le cosmicomiche”.

Io scrivo racconti semplicemente perché il tempo necessario per scriverli è minore o semplicemente più concentrato, e questo si combina meglio con la mia vita lavorativa di chimico (e privata).

 

  • Il Comitato di lettura del Premio Italo Calvino, nella lettera che ti ha scritto, parla di attesa, sospensione. "Dopo poche righe o dopo decine di pagine, la conclusione è sempre una non-conclusione: non uno scioglimento che spiega tutto, ma piuttosto la sollecitazione a modificare il nostro sguardo accettando uno stato di cose che rimane ineluttabilmente sospeso. Viene frustrata ogni nostra pretesa di ricorrere a criteri di logica. Questo ricorda la logica illogica dei racconti zen, forse anche l'idea di presenza nel respiro del qui ed ora che è alla base della pratica Yoga. Vorrei leggere le parole di Donatella Messina insegnante di Yoga e Presidente della LUA di cui faccio parte. "L’attesa non può focalizzarsi su un punto di arrivo, perché perderebbe sostanza. L’attendere quindi è un’attenzione fine a se stessa, cioè un’attesa senza scopo e senza fine. Invece nell’aspettare, aspettarsi, noi chiediamo qualcosa a qualcuno, o che qualcosa arrivi. Potremmo dire che la differenza si sostanzia proprio nella modalità in cui noi stiamo in quella pausa. Se l’aspettare accresce il desiderio che qualcosa o che qualcuno si evidenzi, l’attendere non cancella questo, ma lo sospende. E’ questo che rende questo spazio importante. In questa sospensione che è davvero un puro attendere e in cui noi non sappiamo che cosa possa arrivare, noi stiamo nello spazio dell’attesa senza aspettare che vi sia una risposta. E’ solo e soltanto un saper stare sapiente ed è semplicemente un vuoto prezioso perché ci consente di aprirci a qualcosa d’altro, che può essere un’intuizione, una rivelazione. Può essere semplicemente abitare il silenzio che è dentro di noi, e concedere alle persone che stanno con noi di fare altrettanto. L’attesa piega il tempo fino quasi a sospenderlo. Lo rende trasparente, impalpabile, quindi la lingua dell’attesa ha un alfabeto di annunci e attendere è decifrare questi annunci senza aspettare che arrivino. L’attesa genera pazienza, è una pratica, un atteggiamento, una postura. È una disposizione dell’animo. È spazio vuoto. Non si tratta di abitare una forma conosciuta, prestabilita, già sperimentata, di cui noi siamo consapevoli. L’attesa non è un luogo di certezze, ma un luogo da esplorare senza certezze."

Pensi che, in quest'ottica, la cifra peculiare del tuo Oggi sto proprio bene possa essere quindi un'attesa yogica?

E che quindi forse non sia un caso che il tuo libro proprio in un centro yoga?

Non avevo mai fatto questa considerazione, ma trovo che sia corretta.

I miei racconti hanno probabilmente un’anima yoga o zen. Così sono felicissimo di presentarli a Mondo YogaStudio.  

 

  • Leggere ci da la possibilità di vivere più vite. Scrivere ci da la possibilità di dar soddisfazione ai desideri più inconfessabili. ll tuo Mamarce, per esempio, è sessualmente molto attivo. Come vedi il rapporto tra letteratura e sessualità? Cosa ne pensi del successo del pornosoft, esemplificato da bestseller come "50 cinquanta sfumature di grigio"?

La sessualità fa parte della vita, come molte altre cose: l’amore, la tristezza, l’avventura.

Così la letteratura racconta anche la sessualità, come tutto il resto.

Non ho mai letto "50 cinquanta sfumature di grigio" e non penso di leggerlo.

Non mi interessano i generi stereotipati siano essi pornosoft, romanzi rosa o gialli.

Ad esempio, per il genere “giallo/thriller”, trovo che la famosa trilogia di Stieg Larsson, in quanto monotematica: tutta focalizzata sulla misoginia, sia decisamente monotona, mentre i racconti di Simenon con Maigret spaziando dallo psicologico al sociale e risultino belli, sebbene Simenon raggiunga il suo massimo espressivo nei romanzi e racconti senza Maigret (penso a “Cargo” o a la “La camera blu”)

   

  • Quanto c'è di autobiografico in quello che scrivi?

Se per autobiografico si intende “racconto/cronaca” della mia vita, la risposta è semplice: “non c’è nulla di autobiografico nei miei racconti”.

Non sono mai stato sui monti del Mackenzie (l’orso), né in Antartide (base albatros), né sono mai stato un frate (il frate) o un etrusco (Mamarce).

Lo stesso racconto “Oggi sto proprio bene” che narra l’ultimo giorno di mia madre Lina, è cronaca solo nella prima pagina (telefonata dell’ospedale) quello che viene raccontato dopo è pura invenzione, narrazione fantastica di quello che provavo.

In un senso più ampio tutta la narrazione è autobiografica, mia e di ogni altro autore. In quanto chiunque scrive, presenta i fatti attraverso un suo filtro personale che è la sua vita.

Quindi nei mie racconti nessuna cronaca autobiografica, ma tutto da me filtrato o vissuto.

 

  • Veniamo alla poesia. Alcune tue poesie sono state inserite in Enciclopedia della Poesia Contemporanea Vol. 4 2013 (Fondazione Mario Luzi Editore). Leggiamo una tua poesia. In che tipo di collegamento stanno queste due produzioni così diverse come genere e così lontane nel tempo?

La lontananza nel tempo è semplicemente dovuta alla mia passione di scrivere, che dura da decenni, combinata con la difficoltà di trovare un editore.

La diversità di genere (poesia e racconti) si può spiegare sia con la mia voglia di sperimentare, sia con la mia passione per la poesia, tenuta sotto controllo dalla difficoltà di scrivere poesie.

I temi trattati non sono molto diversi (amore, natura, mistero) declinati nelle modalità peculiari dei due generi.

tags: books, marco frigerio, presentazione, yoga, il mondo yoga studio, storytelling, personal storytelling, Elisa Barbieri
categories: Storytelling
Tuesday 01.30.18
Posted by 00:am
 

Pina Bausch: a “saint on roller skates” - Personal Storytelling Miniseries Episode #6

 

Since the 70’s her work arouses an intense aesthetic pleasure and a strong identification with the audience, this is granted. But Pina Bausch’s story goes beyond and becomes a life lesson for anybody who risk to loose themselves into the technical rigidity of their profession. This danger exixts for artists, first of all, but not exclusively. Let’s think, for example, at physicians who follow procedures and ignore patients, or at scientists who forgot ethics.

One single sentence, pronounced by a gispy girl, has been enough to let Pina Bausch take wing from ballet to her invention of Tanztheater. A completely new world, where dancers do not dance to represent the ideal of perfection, but to celebrate real life.  

Discover with this video the whole story of the woman described by Fellini as a “saint on roller skates”.

 

Pina Bausch: una “santa sui pattini a rotelle” - Personal Storytelling Miniseries - Episodio n°6

Dagli anni ’70, la sua opera suscita un intenso godimento estetico e una forte immedesimazione nello spettatore, questo è fuori di dubbio. Ma la storia di Pina Bausch va oltre e diventa lezione di vita per chiunque rischi di perdersi nei tecnicismi della professione, perdendo il legame con la vita. Questo pericolo esiste in primis per gli artisti, ma non solo. Pensiamo ai medici che seguono protocolli e ignorano i pazienti o agli scienziati che hanno dimenticato l’etica. Una sola frase, detta a mo’ di esortazione da una ragazza zingara, è bastata a far spiccare il salto di non ritorno a Pina Bausch, dal mondo del balletto a quello radicalmente nuovo, di sua invenzione, del Tanztheater. Un mondo dove si danza non la bella forma, ma la vita.

Per scoprire la storia della donna definita da Fellini “una santa sui pattini a rotelle”, guarda il mio video.

 

tags: pina bausch, wim wenders, tanztheater, wuppertal, Personal Storytelling, personal storytelling, Elisa Barbieri, giulietta kelly
categories: Personal Storytelling
Wednesday 01.03.18
Posted by 00:am
 

ENZO FERRARI - The agitator of men - Personal Storytelling Miniseries - Episode #4

Many biographies have been written about Enzo Ferrari, the most famous Italian man in the world. But the far more interesting one is his own autobiography, where he writes opinions, data and memories in a very concise, minimalistic, nearly aphoristic style (he wrote for example that “the second one is the first of the last”). And he writes about something unexpected: the importance of forgiveness.

How and why in this 4th epidose if my Personal Storytelling Miniseries.

 

Di Enzo Ferrari, l’italiano più famoso al mondo, sono state scritte innumerevoli biografie. Ma quella più interessante è senza dubbio quella scritta da lui stesso, dove con stile asciutto, quasi aforistico (celeberrimo il suo "Il secondo è il primo degli ultimi"), il pioniere dell'automobilismo sportivo snocciola pareri, dati e soprattutto ricordi. E parla di qualcosa che non ci si aspetterebbe da lui: l’importanza del perdono.

Ecco come e perché in questo 4° episodio della mia Miniserie di Personal Storytelling,

 

 

tags: enzoferrari, petercollins, nikilauda, personal storytelling, Personal Storytelling, racingcars, ferrari, ferraricars, ferrarired, manuel fangio, maranello
categories: Personal Storytelling
Tuesday 12.12.17
Posted by 00:am
Comments: 1
 

5 cose che vorrei dire a Bill Viola

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un breve documentario realizzato dal Louisiana Museum of Modern Art su Bill Viola, il famoso videoartista americano. Apre il documentario il frammento dell’opera The Raft  (2004), in cui una ventina di persone diversissime tra loro pare aspettare un autobus, quando viene investita in slow motion da un’ondata d’acqua. Da altri spezzoni di opere, alcune più datate come The Crossing (1996) e altre più recenti come Inverted Birth (2014) appare chiaro il legame dell’artista con l’acqua.

Il documentario mostra lo studio all’interno della casa in cui l’artista lavora, pieno zeppo di libri ovunque. L’origine delle opera di Viola è molto culturale e spesso spirituale, nutrita di poesia, come nel caso di Room for Saint John of the Cross (1983), la video installazione dedicata al martire mistico e poeta cristiano del ‘500 San Giovanni della Croce.

L’artista definisce il proprio lavoro come un’indagine costante su se stesso, una scavo che scandaglia incessantemente la propria personalità e la vita stessa. “There's more than just the surface of life" Viola spiega. "The real things are under the surface". Perciò rimango a bocca aperta quando, alla domanda dell’intervistatore sul perché della ricorrenza così forte dell’acqua nelle sue opere, l’artista confessa candidamente di averne realizzato il motivo solo recentemente, grazie alla domanda di un giornalista: “Sig Viola, forse è successo qualcosa nella sua vita, che ha in qualche modo causato questa sua attrazione per l’acqua?”

E lì, dopo anni e anni di indagine su se stesso, Viola finalmente collega l’acqua ad uno dei suoi primi ricordi: a 6 anni cadde in un lago, scese fino a toccare il fondo, un luogo che gli sembrò paradisiaco. Fu salvato dallo zio che si trovava con lui.

Mi sembra pazzesco. Stupita, mi chiedo come può un artista dedicato all’esplorazione delle proprie visioni, intuizioni, ispirazioni, concentrato sull’elaborazione attraverso il proprio sguardo personale del mondo, essere così poco consapevole della propria storia e degli eventi cruciali che hanno formato quello stesso sguardo protagonista delle proprie opera.

Certo, da una parte il fascino del lavoro artistico consiste nella spontaneità, nell’abbandonarsi al flusso dell’idea, senza interporre interpretazioni e auto-analisi. O forse Bill Viola - come confessa Doris Lessing “Da che ho memoria l’ho sempre fuggita” - non si trova a proprio agio con la propria memoria.

D’altra parte, è evidente il paradosso di un lavoro che vuole indagare la propria soggettività ma, allo stesso tempo, la ignora, volontariamente o no, o la fugge.

Viola, però, pare ricordare l’aneddoto della domanda del giornalista con gratitudine, riconoscendo la preziosità di quel momento epifanico.

E allora, quello che vorrei dire al Sig. Bill Viola – chiedendogli di perdonare la mia presunzione - è:

1.     Caro Sig. Viola, continui a indagare la sua infanzia, che è lo scrigno delle nostre fragilità e passioni!

La memoria, una volta innescata la miccia, continuerà a regalare scoperte e a rivelare nessi. Scrive con tono entusiasta il primo grande autobiografo S. Agostino nelle sue Confessioni: “Quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio. Alcune si presentano all'istante, altre si fanno desiderare più a lungo, quasi vengano estratte da ripostigli più segreti.”

2.     Se Lei, Sig. Viola, è, come tutti, alla ricerca della felicità, vorrei ricordarle la massima greca iscritta nel tempio di Apollo a Delfi: “conosci te stesso”. Questo detto può sembrare in opposizione al conoscere il mondo, ma le due conoscenze possono considerarsi due facce di una sola medaglia: una conoscenza viva e attuale non può prescindere dalla mente che conosce

3.     Nel Suo caso, Sig. Viola, è stato il dialogo, con la sua importante funzione di specchio e restituzione, a far affiorare una verità creduta perduta. Provi a sperimentare la scrittura come mezzo di conoscenza di se stesso! L’esercizio regolare della scrittura Le consentirà di intraprendere un percorso di conoscenza di se’ strutturato e completo, attraverso la Sua evoluta capacità di riflessione, la Sua intelligenza, ossia la Sua capacità di intus legere, di leggere dentro se stesso e dentro le cose, andando oltre la superficie

4.     L’autobiografia è diventata una gran moda, questo si sa, perché sancisce l’appartenenza all’Olimpo della notorietà, ma di certo non è appannaggio esclusivo delle star e dei Vip, anzi. Nel suo caso, Sig. Viola, pur appartenendo a questo Olimpo, l’autobiografia può essere un lavoro utile a capire meglio come dare più spessore al proprio lavoro attuale e a progettare con più consapevolezza quello futuro, perché la scrittura di sé è come se portasse alla luce tutto ciò che è stato vissuto, di cui non si ha ancora un’immagine complessiva.

5.     Scrivere di sé, nelle varie forme autobiografiche - dal diario, alla poesia, alle confessioni, alla scrittura contemplativa fino alla forma più compiuta dell’autobiografia vera e propria - non è un’azione narcisistica, ma uno strumento di lavoro faticoso e allo stesso tempo potente, per radicare la propria espressione, rafforzarla, renderla agente di trasfromazione. Scrive l’acculturata ebrea di Amsterdam Etty Hillesum nel suo Diario edito da Adelphi – cronaca in prima persona della persecuzione nazista degli ebrei - “La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare a se stessi” non è proprio una forma d’individualismo malaticcio.  Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso.”

Infine, se decidesse di scivere di sé, caro Sig. Viola, sarei felice di poterla aiutare.

When video artist Bill Viola was 6 years old he fell into a lake, all the way to the bottom, to a place which seemed like paradise. "There's more than just the surface of life." Viola explains. "The real things are under the surface". American Bill Viola (born 1951) is a pioneer in video art.

tags: personal storytelling, bill viola, the raft, louisiana museum of modern art, autobiography
Thursday 04.28.16
Posted by 00:am
 

Scrivere: una chance per le “Precious Girls”

Difficile prendere sonno dopo aver visto Precious, il film del regista Lee Daniels, prodotto da Oprah Winfrey, vincitore nel 2010 di 2 Oscar, 1 Golden Globe, del Sundance Film Festival e molti altri prestigiosi riconoscimenti per le interpretazioni dell’attrice comica Mo’Nique nelle vesti della madre e di Gabourey Sidibe in quelle della figlia Precious.

Nonostante il personaggio della protagonista Precious sia un’invenzione della scrittrice Sapphire, dal cui romanzo “Push” è tratta la sceneggiatura del film, si sa che di storie tragiche come quella di Precious è pieno il mondo. Non a caso il primo titolo di coda è in realtà una dedica “For all Precious girls everywhere in the world”.

E’ opprimente, claustrofobica, di una durezza spesso insopportabile la condizione della teenager Precious, che vive in un appartamento soffocante di uno squallido palazzo ad Harlem con la madre abbrutita fino al disumano dalla violenza e dalla gelosia verso la figlia follemente percepita come rivale in amore, in quanto abusata dal padre dall’età di 3 anni. Precious ha già avuto dai rapporti col padre una figlia di pochi anni, che - avendo la sindrome di Down - viene chiamata “Mongo” ed è incinta di un altro figlio incestuoso.

Precious ha un buon carattere, o forse semplicemente non si ribella per incapacità di gestire la solitudine e per paura di non poter vivere senza il sussidio della madre. Vorrebbe essere bianca, coi capelli lunghi e magra. Invece ha i capelli corti, è nera e obesa, talmente obesa che il grasso delle guance e della fronte le nascondono gli occhi. Sogna di essere una popstar, una fotomodella, una cantante gospel – invece è analfabeta e la preside della scuola, quando scopre la sua gravidanza, la spedisce in una scuola alternativa. Qui Precious incontra la Signorina Rain, che insegnerà a lei e alle altre ragazze disagiate della piccola classe a leggere e scrivere. Ma la Signorina Rain sa che conoscere l’alfabeto non è un’abilità fine a se stessa, ma lo strumento fondamentale della comunicazione. Così, stimolando l’apertura, l’espressione, la condivisione, pian piano la disperazione, l’introversione, la sfiducia, la rassegnazione e la mancanza di autostima di Precious si trasformano. Dal non riuscire a nominare nemmeno una cosa che sa fare, Precious arriverà a scrivere favole e poesie e, soprattutto, a raccontare di se’.

Non fa null’altro, la Signorina Rain. Niente storia, geografia o matematica. Solo scrivere di se’, dei propri desideri, aspettative, delusioni, errori e speranze. Perché – come scrive Karen Blixen ne “La mia Africa” - “Solo scrivendo si può rendere il dolore più tollerabile”.  Lungo il processo di auto-salvazione di Precious, ci sarà un solo momento in cui la scrittura sarà troppo debole per compiere il miracolo. Quando, dopo aver partorito un figlio sano e bello tra il conforto delle compagne di scuola, aver lasciato la casa della madre, aver passato il Natale dalla Signorina Rain e aver trovato una casa d’accoglienza, Precious scoprirà di essere sieropositiva. Quel giorno Precious, in classe, si rifiuta di scrivere.

Il dolore, la rabbia, la preoccupazione sono troppo grandi per essere contenuti nella scrittura. “Scrivi, scrivi” la esorta piangendo la Signorina Rain. “Non posso.” “Scrivi per chi ti ama.” “Non mi ama nessuno. L’amore mi ha fatto del male.” “Non era amore, quello che ti ha fatto male. Tuo figlio ti ama.”

Anche Precious ama suo figlio, entrambi i suoi figli, riuscendo incredibilmente a superare l’eredità di odio ricevuta. In questo è lei la maestra più grande. Tanto che, quando alla nascita del piccolo, la Signorina Rain vuole convincerla ad affidarlo ad una famiglia per poter essere libera di prosegure gli studi e non essere costretta a lavorare come domestica a 3 dollari l’ora, Precious le risponde “Lui ha bisogno di me, solo io posso dargli quello di cui ha bisogno ora” soffocando il piccolo viso di Abdul con l’enorme seno da cui il neonato succhia il latte.

English trailer

https://www.youtube.com/watch?v=06ZF3zw1gHs

 

 

DAL 26 NOVEMBRE AL CINEMA Vincitore di numerosi premi internazionali, tra cui due premi Oscar e due premi al Sundance Film Festival, PRECIOUS di Lee Daniels è un'incredibile racconto sulla capacità di crescere e superare gli ostacoli. Ambientato nel 1987, è la storia di Claireece "Precious" Jones, una ragazza di sedici anni cresciuta in un mondo che nessuno mai vorrebbe conoscere.

tags: scrittura, scrittura autobiografica, scrivere di se', precious, sapphire, oprah winfrey, lee daniels, mo'nique, Gabourey Sidibe, personal storytelling, giulietta kelly
Wednesday 01.06.16
Posted by 00:am
Comments: 1
 

Michela Marzano su “Riconciliarsi col passato”

Cosa vuole dire ereditare?

Cosa riceviamo in eredità? Solo beni materiali o anche immateriali?

Cosa ci viene trasmesso oltre al cognome? Oltre al valore, agli affetti, alla cultura?

L’eredità è sempre consapevole, oppure anche incoscia e quindi involontaria?

Cosa vuol dire riconciliarsi col passato?

E’ iniziata con queste domande la lectio magistralis della Prof.ssa Michela Marzanodocente di Filosofia morale presso l'università Paris Descartes e deputato PD al Festival Filosofia Modena 2015.

L’ipotesi formulata dalla filosofa, è che si può riconciliarci col passato trovando un equilibrio tra fedeltà e tradimento, in particolare rimanendo fedeli all’unica cosa indispensabile per essere noi stessi e tradendo tutto quello che non ci è stato trasmesso con amore, ma ordinato con la minaccia.

Massimo Recalcati in “Le mani della madre”, descrive il padre come colui che trasmette la legge e la madre come il primo soccorritore, colei che trasmette il senso della vita, che salva dalla caduta nel non-senso.

Quando questi due elementi non esistono, la trasmissione non avviene. 

Se il padre non è capace di trasmettere la legge e la madre non soccorre con amore, avvengono delle ferite gravi. 

Come potrà il figlio curare queste ferite del passato? 

Come potrà imparare ad articolare il desiderio, ad ascoltare il proprio Daimon - direbbe James Hillmann - , se questo desiderio sarà in contraddizione con l’imposizione subita del “Tu sei questo”? 

Come potrà accogliere con amore la propria voce interiore, se lui stesso non sarà stato accolto fin dall’inizio della vita con amore, ma sarà stato pietrificato da uno sguardo di Medusa, che avrà fatto a pezzi la possibilità di creare fiducia in se stesso? 

Il rischio di diventare auto-pietrificanti c’è, ed è elevato.

Ma qual’è la via d’uscita? 

“Non c’è parola senza risposta, anche se l’unica risposta è il silenzio”, scrive Jacques Lacan. Questa è una regola della psicanalisi, secondo la quale è sufficiente che la parola trovi nell’altro un’accoglienza silenziosa, uno specchio che permette di vedere e capire. Questa chiarezza è data dalla possibilità di ascoltarsi e capirsi grazie all’ascolto dell’altro.

Questo processo non è esclusivo della psicanalisi, bensì può – anzi dovrebbe – essere una modalità propria della relazione, nella forma del Dialogo, che etimologicamente significa “azione del parlare tra due persone”.    

Purtroppo oggi si fa fatica a trovare ascolto, quell’ascolto in cui la risposta silenziosa e senza giudizio è specchio, anche quando la parola altrui rimane incomprensibile, perché derivante da un’esperienza altra, da un’alterità sconosciuta e che fa paura. 

L’ascolto che rende possibile la narrazione di sé è ciò che consente di fare i conti con il proprio passato, di far emergere i ricordi in modo non astratto ma vivo (l’etimologia di ricordare significa “riportare al cuore”). 

“Faremo pace coi nostri ricordi quando arriveremo a sentirne il profumo” scrive la Prof.ssa Michela Marzano nel suo “Volevo essere una farfalla”. 

E nel documentario sulla sua vita, la cantautrice inglese Amy Winehouse dice: “Tutti i testi delle mie canzoni sono autobiografici. Non potrei scrivere di nulla che non conosco, che non sia strettamente legato alla mia storia personale. Quando scrivo d’amore, ad esempio, quando scrivo di un uomo, devo tornare a ricordare tutto di lui, anche il profumo del suo collo”. Questo è quel ricordare che permette di rivivere il proprio passato in modo catartico, per ri-superarlo e quindi imparare ad accettare la vulnerabilità, le imperfezioni, il giudizio negativo, la sensazione di non essere all’altezza.

Scrive Paul Ricoeur: “L’unico modo che abbiamo di conoscerci è raccontarci, raccontando anche quello che non abbiamo vissuto, perché ci è stato negato o imposto”. 

Ricordare, riconoscere a accettare anche ciò che non abbiamo vissuto ci apre ad una visione più integra di noi stessi, comprensiva di tutte le nsotre potenzialità, anche quelle che non abbiamo espresso.

E accettare di essere “diseredati” – perché non corrispondiamo alle aspettative che altri hanno proiettato su di noi – significa aprisi gioiosamente al futuro, ad un futuro in cui si prende la responsabilità della propria vita, abbandonando le recriminazioni, frutto di quello che Lacan chiama sentimento di “juissance mortifère” (godimento mortifero), cioè dell’atteggiamento vittimistico di chi, colpevolizzando gli altri, sposta fuori da sé la responsabilità della propria vita.

La riconciliazione con il passato è possibile se si riesce a capire che l’assenza permarrà, che non ci sarà risarcimento né riparazione, perché non è possibile cambiare il passato.

E se capiamo che l’assenza è stata causata da una “tara ereditaria”, cioè da un buco perpetuatosi nel tramandare con amore legge e desiderio. 

Questo è, a grandi linee e con parole mie (anche il riferimento a Amy Winehouse è mio, non vorrei attribuirlo alla Professoressa, che forse lo troverebbe troppo “pop”, anche se Amy era jazz), l’intervento di Michela Marzano al Festival Filosofia di Carpi, in una vastissima e rilassatissima Piazza Martiri, illuminata dal sole di un settembre tropicale e sovrastata da un cielo azzurrissimo decorato dalle scie di molti aerei.

La Prof.ssa Marzano – o Michela, come ha detto di voler essere chiamata quando non Professoressa – ha dovuto tagliare il suo intervento, perché il tempo era scaduto. Peccato. Sarei stata molto curiosa di poterlo sentire integralmente. 

Mi chedo se in quel pezzo mancante avrebbe parlato di come imparare non solo ad accettare il proprio passato, ma anche ad amarlo. Ad amarlo tutto, inclusi il dolore, le imperfezioni, le mancanze, che ci hanno reso quelli che siamo, con le nostre forze e le nostre fragilità, con i nostri traguardi e i nostri desideri.  

Mi chiedo se avrebbe parlato di come possiamo imparare ad amare la nostra storia e riconoscervi una specie di traccia - quello stesso disegno da noi amato e scelto prima di venire al mondo e poi dimenticato.

tags: personal storytelling, michela marzano, festival filosofia, riconciliarsi col passato, amy winehouse, massimo recalcati, james hillmann
Monday 10.05.15
Posted by 00:am
 

00:am via d'annunzio 14  43124 Parma   p.iva 02409600349