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Mia Le Journal - The party

Some shots from the celebration event of the tenth issue "Nomade Issue" of the Mia Le Journal artbook, to which I collaborated with the creation of the story "The Nomad Society" and the copywriting of the “Colorado Blues” photoshooting. In an era characterized by a continuous migration of people and ideas, Mia Le Journal narrates nomadism today, through a multi-expressive aesthetic, which gives life to a multifaceted container of dreams, ideas and moods. Four different covers with present characters who, in their creative sphere,represent nomadism in an intimate and personal key. Among them Lou Doillon, daughter of Jane Birkin, musician and muse for large fashion houses, portrayed by Danlio Falà with Federica Trotta Mureau's Art and Fashion Direction. Event in collaboration with "Elisa Sednaoui Foundation", an international organization that carries out educational projects against bullying and violence, for cultural aggregation and talent development.

Elisa

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Mia Le Journal - The party Qualche scatto dall’evento di celebrazione del decimo numero “Nomade Issue” dell’artbook Mia Le Journal, cui ho collaborato con la creazione della storia “The Nomad Society” e del copywriting del servizio “Colorado Blues”. In un’epoca caratterizzata da una continua migrazione di persone e idee, Mia Le Journal racconta il nomadismo al giorno d’oggi, attraverso un’estetica multi-espressiva, che da vita ad un contenitore poliedrico di sogni, idee e stati d’animo. Quattro cover diverse con presenti personaggi che, nella loro sfera creativa, rappresentano il nomadismo in una chiave intima e personale. Tra loro Lou Doillon, figlia di Jane Birkin, musicista e musa per grandi case di moda, ritratta da Danlio Falà con l’Art and Fashion Direction di Federica Trotta Mureau. Evento in collaborazione con “Elisa Sednaoui Foundation”, organizzazione internazionale che realizza progetti educativi contro bullismo e violenza, per l’aggregazione culturale e lo sviluppo dei talenti.

Elisa


tags: Storytelling, copywriting, fashion, party, mia le journal
categories: Storytelling
Friday 05.29.20
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Skin Regimen - Nurturing Nature

Questo video spiega un messaggio fondamentale e sempre più trascurato: l’importanza della natura nella vita dell’uomo.

Guardandolo vi accorgerete che forse non è l’uomo l’essere superiore a tutte le specie, ma la natura, che ci permette di sopravvivere.

Vi lancio una provocazione:

“That is why we must start to consider nature as an intelligent, vibrant and honorable community”.

Avete voglia di cogliere la provocazione e dirmi cosa ne pensate?

Storytelling: Elisa Barbieri
Video editing: Mattia Barbati

tags: nature, #storytelling
categories: Laboratory, Storytelling
Friday 01.31.20
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Augurio ad una Quercia

Buon Anno a tutti voi, a tutti noi, e tutte quelle creature ignorate, segate, bruciate, ma talmente preziose da essere indispensabili al nostro respiro, che sono gli alberi.
Buon Anno alle foreste di tutto il mondo, che sia un anno senza tagli, senza fuochi, un anno di abbracci e di intrecci nel segreto delle radici. E che sia un anno di piedi gentili, che guardano dove poggiano, per non calpestare i fiori.
Per tutti voi un #videopoem ispirato all’Augurio ad una Quercia di Pier Luigi Bacchini.

“Quegli antichi fantasiosi giustamente
hanno visto nel ferro delle tue foglie
il virgulto guerriero,
la severità della forza.
(…)
E la fortuna ti preservi dalle mani brutali dell’uomo.
Che tu possa diventare una torre,
e che gli uccelli trovino un nido duraturo
come i falchi torraioli,
e che tu possa frondeggiare, anche carica di neve.
E nella tua longevità
Tu sia la sovrana di questa valletta.”

Pier Luigi Bacchini

#videopoetry #bacchini #quercia #storytelling #00am

tags: videopoetry, videopoem, storytelling
categories: Storytelling
Friday 01.10.20
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Comments: 1
 

Valori in impresa

Perché parlare di valori in impresa? Cosa senso ha? ho chiesto alla filosofa, formatrice e coach Stefania Contesini, co-conduttrice del laboratorio CLOE.

Ecco la sua risposta.

Fino a pochi decenni fa l’impiego del termine valorea proposito delle imprese veniva considerato nella sua accezione puramente economica, in quanto capacità dell’azienda di conseguire redditività. L’aver interpretato da parte della teoria economica, il termine valore in questo modo, ha fatto sì che venisse trascurata la ricchezza di questo concetto. Esso, infatti, come mostra anche la sua etimologia, ha sempre avuto una pluralità di significati, oltre a quello economico, anche quello sociale, morale, come pure quello che indica lo star bene in senso fisico. 

Da alcuni anni a questa parte anche nel mondo delle imprese si è cominciati a riconoscere e apprezzare una concezione pluridimensionale del concetto di valore.   Siamo infatti in presenza di un mutamento di paradigma rispetto al passato, per cui l’impresa non è solo un attore economico ma anche e insieme un attore sociale.  Valore non è più solo quello economico. 

Oggi parlare di valore e di valori in impresa sta diventando familiare. I valori costituiscono l’anima dell’impresa, sono ciò che gli permette di riconoscersi ed essere riconoscibile dagli altri. Puntare su alcuni valori permette all’impresa di distinguersi e individuarsi, rispetto agli altri e dunque di essere più competitiva. Non si può comunicare se stessi senza aver cognizione dei propri valori e del modo in cui li si realizza. 

Sapere i propri valori non è un processo immediato. Non basta domandare in quale valore si crede per ricostruire la fotografia dei valori di un’impresa.  La presenza o l’assenza del valore deve emergere in primo luogo dalla narrazione delle persone che vivono in aziende,così da convogliare l’attenzione su ciò che merita di essere notato, incorniciare i momenti significativi e saperne dare conto. Ma sopra ogni cosa è necessario accompagnare le persone nella ricerca di una visione più chiara e partecipata del fine comune, e cioè del modo di vivere alcuni valori come dimensioni fondamentali della comunità di lavoro. In quest’attività la filosofia, con i suoi metodi e strumenti, è una preziosa alleata, anzi, potremmo dire il sapere più appropriato per lavorare con i valori, se è vero, come ci ricorda la filosofa Simone Weil, che “la nozione di valore è al centro della filosofia”.

Stefania Contesini

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Values in business

Why talking about values in business? What does it mean? I asked philosopher, coach and educator Stefania Contesini, co-leader of the CLOE laboratory.

Here’s her answer.

Until a few decades ago the word value, when used regarding enterprises, used to simply refer to the mere economical meaning of the enterprise itself. The reason for this fact is that the economic theory broadly neglected the richness of this concept. As its ethimological origin demonstrates, the word value has always had a multiplicity of meanings, economic of course, but also social, moral, physical.

Since a few years the business has started to recognize and appreciate a multidimensional vision of the word “value”, as we’re facing a big change, seeing enterprises playing not just and economical role, but also a social one. Values are no longer merely economical values.

Today talking about values is becoming familiar. Values are the enterprise’s soul, they allow the enterprise to have a clear identity, to be identified by consumers and to differentiate itself from competitors. One cannot communicate one’s own identity without being aware of one’s values and how to put them into practice. 

But to be aware of one’s own values is not a sudden process. Asking in which values one does believe is not enough to have a full picture of an enterprise’s values. The presence (or lack) of values has to merge from the storytelling of the people living the enterprise, bringing to life practices, events, moments that need to be noticed, observed, shared.

What is more important, is to coach professionals who want to look for a clearer and more participated vision of the “common goal” to start to understand how values can become a fundamental dimension of the working environment. In this process, philosophy, with its methods and tools, can be a precious ally, indeed, we could say the most appropriate kind of knowledge to work with values, if it is true what the philosopher Simone Weil wrote “ the idea of value is at the center of philosophy”. 

Stefania Contesini

tags: Valori, Filosofia, Impresa
categories: Storytelling, Laboratory
Tuesday 04.03.18
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Scrivere è una questione di sguardo – conversazione con l’autore Marco Frigerio

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Il piacere di sentirsi un bambino che ascolta le storie raccontate dalla nonna,un piacere che si riaccende scrivendo e pregustando il piacere che, a propria volta, si darà ai lettori. Così, con spirito incantato (e incantevole), Marco Frigerio, chimico visionario, racconta storie poliedriche, che portano a viaggiare nel tempo e nello spazio, storie diversissime ma tutte accomunate da un alone di mistero, che le rende attraenti e inafferrabili. Qualche settimana fa, ho avuto il piacere di incontrarlo e di presentare presso Il Mondo Yoga Studio il suo libro “Oggi mi sento proprio bene”, edito da La Erudita. Ecco qua per voi, il resoconto di una conversazione, che fa capire quanto l’essere scrittori sia, più di tutto, una questione di sguardo.      

  • Sei uno scrittore poliedrico, i tuoi racconti spaziano da ambientazioni fantastiche ad ad altre storiche. Pensiamo al Medio Evo leggendario del racconto Il Frate o al futuro da fantascienza di L'esplorazione di Venere 603. Come nasce un tuo racconto? Quali sono le tue fonti di ricerca e ispirazione?

I miei racconti nascono dal piacere di “ascoltare” storie.

Storie come quelle che si raccontano gli amici a cena o al bar oppure le storie che raccontano le nonne ai nipotini.

E quindi dalla voglia di aggiungermi a questa narrazione verbale, che per essere una “buona” narrazione verbale deve essere scorrevole e fluida, caratteristiche che mi sforzo di perseguire nella mia scrittura.

Le fonti di ricerca e di ispirazione sono le più varie. Sicuramente lo sono le impressioni visive: come un paesaggio, un albero on un oggetto (una noce, una foglia). Ad esempio, il racconto “Mamarce Fleluske” nasce dall’ambra, questa resina fossile colorata come l’oro e che spesso racchiude tracce del passato: insetti, pezzetti di legno, piccoli sassi.

Il racconto “Il sonnambulo” nasce da alcune tavole di Tex, così come da impressioni lasciate da racconti di Calvino e Buzzati.

Oltre alle immagini, la Storia rappresenta una fonte inesauribile di inspirazione. Soprattutto la storia antica e preistorica, i cui reperti parlano di un uomo “maturo e moderno” fin dalla più lontana notte dei tempi. Ben prima degli egizi o dei sumeri, noi uomini di 40.000 anni fa riuscivamo a dipingere grotte fantastiche (Altamira, Lascaux), mostrando una sensibilità raffinata acconto a quella che, noi moderni crediamo, una vita selvaggia.

Le cose, in realtà, non mi sembrano molte cambiate negli ultimi 40.000 anni.

  • Ciò che rende grande uno scrittore non è una scuola di scrittura ma la capacità di visione, quello che Flanery O'Connor chiamerebbe sguardo anagogico, Massimo Recalcati differenza tra la realtà e reale, Carlo Rovelli una lezione di fisica e Novalis la missione di ri-creare la terra. Tante prospettive diverse per esprimere lo stesso concetto: esistono diversi livelli di realtà. La scrittura nasce dalla capacità di esercitare uno sguardo investigativo sulla realtà, capace di andare oltre, per cogliere diversi livelli di vita. Sei d'accordo?

Assolutamente sì, in particolare trovo che la definizione di Novalis: di ri-creare la terra, sia particolarmente centrata.

Quando leggiamo un romanzo o un racconto, entriamo veramente in un mondo nuovo, che l’autore ha creato per noi lettori, ma che il lettore a sua volta modifica con la sua esperienza e la sua storia personale, fatto che permette ad ognuno di noi di leggere in modo originale e personale il mondo propostoci dalla pagina scritta.  

  •  Il tuo libro è intriso di mistero, un mistero che irrompe nella normalità quotidiana, sconquassandola (Spaghetti alle vongole) e con sconfinamenti nel surreale (Le mani, Il sonnambulo). Come alleni questo sguardo anagogico?

Il mistero e il fantastico sono una modalità utilizzata da sempre in letteratura (penso a Omero o Kafka, passando per Ariosto e Shakespeare) per mostrare i diversi aspetti della realtà.

Come si allena lo sguardo anagogico e fantastico? Ascoltando le persone, camminando per le strade, uscendo di casa, leggendo giornali, libri fumetti e guardando le cose con uno “sguardo laterale”, obliquo rispetto a quanto di omologato ci viene proposto da tg, serie tv e chiacchere da bar (notate: chiacchere e non “fole”, che sono splendidi “racconti assurdi, iperbolici, improbabili, spudorati, sboroni e anagogici”).

  • Essere un chimico è un ostacolo o una risorsa del tuo essere scrittore?

E’ sicuramente una risorsa. Il chimico è per sua natura uno che modifica cose, combinando la materia conosciuta per creare una nuova materia.

Così lo scrittore combina le parole per creare, come dicevano prima, mondi nuovi.

Inoltre il chimico è “uno che cerca”. Cerca senza sapere cosa troverà alla fine del suo viaggio di ricerca.

Molti tra i miei racconti narrano storie di esplorazioni (Orso; Mamarce, Base antartica, Venere603), forse perché sia come scrittore che come chimico mi piace uscire dal seminato. Cercare cose nuove, alzarmi e uscire di casa per esplorare il mondo fuori.  

 

  • Perché scrivi?

Scrivo per il piacere di ascoltare storie. E scrivo perché è un’esigenza come respirare, mangiare e muoversi. Altri fanno sport, io scrivo.

 

  • Si dice che lo scrittore di romanzi sia un architetto disciplinato, mentre il poeta un mistico folgorato dall'ispirazione. Lo scrittore di racconti brevi è una via di mezzo tra i due o cosa?

Concordo almeno in parte. I romanzi e i racconti sono un tipo di scrittura tra loro molto simile. La poesia è tutta un’altra cosa.

Scrivere poesie è difficilissimo. La poesia dice le cose che non si possono dire. E la poesia è l’unico modo che abbiamo per esprimerle.

Penso a Ungaretti e Rimbaud o alla Szymborska o a Yeats e Pessoa.

 

Scrivere romanzi o racconti è “semplicemente” narrare cose, pensieri, storie. Sicuramente scrivere romanzi richiedono una capacità architettonica maggiore rispetto quella necessaria per i racconti.

Ma anche questi, romanzi e racconti, possono tranquillamente essere visionari e mistici: “I fratelli Karamazov”, “la Metamorfosi” “il maestro e Margherita” “Le città invisibili” “Le cosmicomiche”.

Io scrivo racconti semplicemente perché il tempo necessario per scriverli è minore o semplicemente più concentrato, e questo si combina meglio con la mia vita lavorativa di chimico (e privata).

 

  • Il Comitato di lettura del Premio Italo Calvino, nella lettera che ti ha scritto, parla di attesa, sospensione. "Dopo poche righe o dopo decine di pagine, la conclusione è sempre una non-conclusione: non uno scioglimento che spiega tutto, ma piuttosto la sollecitazione a modificare il nostro sguardo accettando uno stato di cose che rimane ineluttabilmente sospeso. Viene frustrata ogni nostra pretesa di ricorrere a criteri di logica. Questo ricorda la logica illogica dei racconti zen, forse anche l'idea di presenza nel respiro del qui ed ora che è alla base della pratica Yoga. Vorrei leggere le parole di Donatella Messina insegnante di Yoga e Presidente della LUA di cui faccio parte. "L’attesa non può focalizzarsi su un punto di arrivo, perché perderebbe sostanza. L’attendere quindi è un’attenzione fine a se stessa, cioè un’attesa senza scopo e senza fine. Invece nell’aspettare, aspettarsi, noi chiediamo qualcosa a qualcuno, o che qualcosa arrivi. Potremmo dire che la differenza si sostanzia proprio nella modalità in cui noi stiamo in quella pausa. Se l’aspettare accresce il desiderio che qualcosa o che qualcuno si evidenzi, l’attendere non cancella questo, ma lo sospende. E’ questo che rende questo spazio importante. In questa sospensione che è davvero un puro attendere e in cui noi non sappiamo che cosa possa arrivare, noi stiamo nello spazio dell’attesa senza aspettare che vi sia una risposta. E’ solo e soltanto un saper stare sapiente ed è semplicemente un vuoto prezioso perché ci consente di aprirci a qualcosa d’altro, che può essere un’intuizione, una rivelazione. Può essere semplicemente abitare il silenzio che è dentro di noi, e concedere alle persone che stanno con noi di fare altrettanto. L’attesa piega il tempo fino quasi a sospenderlo. Lo rende trasparente, impalpabile, quindi la lingua dell’attesa ha un alfabeto di annunci e attendere è decifrare questi annunci senza aspettare che arrivino. L’attesa genera pazienza, è una pratica, un atteggiamento, una postura. È una disposizione dell’animo. È spazio vuoto. Non si tratta di abitare una forma conosciuta, prestabilita, già sperimentata, di cui noi siamo consapevoli. L’attesa non è un luogo di certezze, ma un luogo da esplorare senza certezze."

Pensi che, in quest'ottica, la cifra peculiare del tuo Oggi sto proprio bene possa essere quindi un'attesa yogica?

E che quindi forse non sia un caso che il tuo libro proprio in un centro yoga?

Non avevo mai fatto questa considerazione, ma trovo che sia corretta.

I miei racconti hanno probabilmente un’anima yoga o zen. Così sono felicissimo di presentarli a Mondo YogaStudio.  

 

  • Leggere ci da la possibilità di vivere più vite. Scrivere ci da la possibilità di dar soddisfazione ai desideri più inconfessabili. ll tuo Mamarce, per esempio, è sessualmente molto attivo. Come vedi il rapporto tra letteratura e sessualità? Cosa ne pensi del successo del pornosoft, esemplificato da bestseller come "50 cinquanta sfumature di grigio"?

La sessualità fa parte della vita, come molte altre cose: l’amore, la tristezza, l’avventura.

Così la letteratura racconta anche la sessualità, come tutto il resto.

Non ho mai letto "50 cinquanta sfumature di grigio" e non penso di leggerlo.

Non mi interessano i generi stereotipati siano essi pornosoft, romanzi rosa o gialli.

Ad esempio, per il genere “giallo/thriller”, trovo che la famosa trilogia di Stieg Larsson, in quanto monotematica: tutta focalizzata sulla misoginia, sia decisamente monotona, mentre i racconti di Simenon con Maigret spaziando dallo psicologico al sociale e risultino belli, sebbene Simenon raggiunga il suo massimo espressivo nei romanzi e racconti senza Maigret (penso a “Cargo” o a la “La camera blu”)

   

  • Quanto c'è di autobiografico in quello che scrivi?

Se per autobiografico si intende “racconto/cronaca” della mia vita, la risposta è semplice: “non c’è nulla di autobiografico nei miei racconti”.

Non sono mai stato sui monti del Mackenzie (l’orso), né in Antartide (base albatros), né sono mai stato un frate (il frate) o un etrusco (Mamarce).

Lo stesso racconto “Oggi sto proprio bene” che narra l’ultimo giorno di mia madre Lina, è cronaca solo nella prima pagina (telefonata dell’ospedale) quello che viene raccontato dopo è pura invenzione, narrazione fantastica di quello che provavo.

In un senso più ampio tutta la narrazione è autobiografica, mia e di ogni altro autore. In quanto chiunque scrive, presenta i fatti attraverso un suo filtro personale che è la sua vita.

Quindi nei mie racconti nessuna cronaca autobiografica, ma tutto da me filtrato o vissuto.

 

  • Veniamo alla poesia. Alcune tue poesie sono state inserite in Enciclopedia della Poesia Contemporanea Vol. 4 2013 (Fondazione Mario Luzi Editore). Leggiamo una tua poesia. In che tipo di collegamento stanno queste due produzioni così diverse come genere e così lontane nel tempo?

La lontananza nel tempo è semplicemente dovuta alla mia passione di scrivere, che dura da decenni, combinata con la difficoltà di trovare un editore.

La diversità di genere (poesia e racconti) si può spiegare sia con la mia voglia di sperimentare, sia con la mia passione per la poesia, tenuta sotto controllo dalla difficoltà di scrivere poesie.

I temi trattati non sono molto diversi (amore, natura, mistero) declinati nelle modalità peculiari dei due generi.

tags: books, marco frigerio, presentazione, yoga, il mondo yoga studio, storytelling, personal storytelling, Elisa Barbieri
categories: Storytelling
Tuesday 01.30.18
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Su ForTune in podcast la storia del Buthan - il paese che ha promesso al mondo di rimanere a emissioni zero per sempre

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La favolosa storia del Buthan - il paese che ha promesso al mondo di rimanere a emissioni zero per sempre - anche in podcast (lingua italiana) su ForTune, un flusso di contenuti audio in pillole da tre minuti, di alta qualità, senza interruzioni. Gli utenti scelgono i temi di interesse e ForTune propone loro un flusso audio unico, sempre diverso e mai banale. Il tutto alternato alla loro musica preferita.

https://for-tune.it/elisa/bhutan-la-promessa-sempre-emissioni-zero/

The fabulous Buthan’s story of Buthan – the small country, who promised to stay carbon neutral forever, also in pocast (Italian language) on  ForTune, an audio content flux in 3 minutes podcasts, high quality, without interruptions. Listeners choose their favorite subjects and ForTune proposes them a unique audio stream, always different and never ordinary. Interchanged with their favorite music.

tags: Personal Storytelling, Buthan, Carbon neutral, Emissioni zero, Riscaldamento globale, Elisa Barbieri, global warming, giulietta kelly, 00:am
categories: Storytelling
Wednesday 01.24.18
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Buthan: the promise to remain carbon neutral forever - Personal Storytelling Miniseries - Episode #8

This is one of the most successful contemporary stories: as romantic as an Andersens’ fairy tale, as cruel as a Perrault’s one (where Bluebeard is ourselves and our global warming), and, on top of that, real.

While telling it, I feel a bit like the Grimms brothers, who collected legends and popular myths from people who had been travelling all over Germany or had owned a lodging, where they had heard all sorts of stories from patrons. 

So, I re-tell this story to my big little audience, extrapolating a part of Buthan’s Prime Minister Mr Tshering Tobgay’s TED speech. Here’s the true story of the brave, strong-willed small hymalaian country – defined at the last international climate change summit as a “climate hero” -, the country who promised to stay carbon neutral forever.

Questa è una delle storie contemporanee più riuscite: romantica come una fiaba di Andersen, crudele come una di Perrault (dove il Barbablu siamo noi umani e il nostro global warming), e, per di più, vera. 

A raccontarla, mi sento un po’ come i fratelli Grimm, che raccoglievano leggende e miti popolari da persone che avevano viaggiato per tutta la Germania, oppure avevano posseduto una locanda e ne avevano sentite da tutti i colori dagli avventori. 

Così, ripropongo questa storia al mio piccolo grande pubblico, estrapolando una parte del discorso TED di Tshering Tobgay, Primo Ministro del Buthan. E’ la storia vera, determinata e coraggiosa del piccolo paese himalaiano - definito all’ultimo summit mondiale sull’ambiente “eroe del clima” - il paese che ha promesso al mondo di rimanere a emissioni zero per sempre.

tags: Buthan, TED, Tshering Tobgay, Carbon neutral, Climeate change, global warming, Storytelling, Personal Storytelling, Elisa Barbieri, 00:am, giulietta kelly
categories: Storytelling
Tuesday 01.16.18
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L’era della narrazione, tra storytelling e post-verità

La bibliografia di matrice anglosassone ha sempre classificato la produzione letteraria in due macro categorie: fiction e non fiction. Una distinzione, quella tra racconti di fantasia e documentazione realistica, che non esiste in tutte le lingue e tantomeno nella lingua di quel popolo di poeti, che siamo (eravamo? dovremmo essere?) noi italiani.

Per una volta possiamo dire di essere stati più lungimiranti noi, perché il boom dello storytelling poggia proprio sul superamento di questa dicotomia. Oggi lo storytelling rappresenta, con il suo mix di dati di fatto e lavoro d'immaginazione, una nuova prospettiva di ricerca di senso, quel senso di cui abbiamo bisogno per riempire il vuoto lasciato dal crollo di religioni, ideologie e altri fenomeni di massa (eccetto il calcio). Non esente da rischi, certo, ed ecco allora la necessità di uno storytelling guidato dall’etica.

Esemplare la scena finale di The Hateful Eight di Tarantino, quando uno dei due sopravvissuti al massacro nel saloon legge all'altro una falsa lettera di ringraziamento di Lincoln. Il trattamento colore dell'immagine vira sul blu, rosso e bianco, i colori della bandiera americana. Come a dire: ecco cosa rimane di questo paese, una storia finta, che però serve a motivare, a dare significato, a orientare le azioni. Con questa provocazione apre The Narrative Age - Convegno Nazionale dell'Osservatorio Storytelling del 25.11 a Milano il filosofo Roberto Mordacci, che vede lo storytelling come conseguenza della riscoperta da parte dei giovani filosofi, della responsabilità della verità, in opposizione alla scuola dei vecchi filosofi, ancora sostenitori di quel pensiero post-moderno per cui non esiste la verità, se mai tante ed equipollenti verità.

Tutto il contrario del "raccontare storie" insomma.  Questa precisazione è quanto mai necessaria, perché nel mondo della comunicazione il termine storytelling tende ad essere abusato e travisato.

Fare storytelling significa cercare una storia e darle vita per incontrare un pubblico con l'appeal dell'onestà, della gentilezza, del pensiero laterale, della creatività, dell'impegno - in una giungla in cui il marketing tradizionale, aggressivo, dal linguaggio che è un grido di guerra (il pubblico come "target da colpire"), dalle iperboli e dalle false promesse ha perso credibilità e, soprattutto efficacia. Perché in una proliferazione di messaggi tutti simili, fare storytelling per un brand significa cercare la propria anima e, cercandola, costruirla. Magari, come fu nella versione biblica della creazione, nominando prima di tutto qualcosa perché prenda vita. Parlare di anima non è blasfemo - perché un brand cos'è, se non persone?

Lo storytelling è come una mappa medievale: la rappresentazione di un micro mondo dove convivono pacificamente il Mar Rosso e l'Eden, il Papa e gli sciapodi (esseri mitologici con una sola gamba), elefanti ed unicorni, ossia dati di realtà e creature fantastiche.

Oggi questa commistione esiste in ogni ambito della comunicazione, anche in quello che più di tutti si penserebbe ne fosse lontano, ad esempio il mondo dell’informazione. Dietro ad ogni immagine e testo c’è una costruzione della realtà da un preciso punto di vista. Basta pensare ai racconti geopolitici dell'ISIS, ad esempio. Per arrivare ad apici assurdi e divertenti, come il fenomeno del turismo finzionale (ad esempio, il binario 9 e 3/4 di King’s Cross a Londra osannato dai fan di Harry Potter) oppure il finto documentario sulla prova dell'esistenza delle sirene Mermaids – The body found, citato dal Direttore dell'Osservatorio Storytelling Andrea Fontana nello stesso convegno di cui sopra.

Eppure questo non deve scandalizzarci, quanto smaliziarci, cioè spingerci a interrogare le storie che ci vengono proposte, per indovinarne la regia e smontarne il costrutto narrativo.

Persino l’autobiografia, ambito a me molto caro, non è scevra dalla commistione di fatti realmente accaduti e fatti inventati. Pur perseguendo un ideale di verità, quando la memoria ritrova i ricordi, essa procede creativamente. I ricordi, infatti – come le neuroscienze hanno recentemente confermato – non sono mai uguali a se stessi, ma si trasformano nel tempo. E questo per quanto riguarda la prima fase dell’autobiografia (quella del dissodare il terreno della memoria), mentre nelle fasi successive, della sceneggiatura del racconto di vita, l’attività progettuale creativa è ancora più evidente.

Ma torniamo allo storytelling come nuova frontiera del marketing e quindi in relazione al brand. Per un brand costruire la propria storia significa confrontarsi con la propria identità, valori, etica, visioni. Cercare la propria storia è il primo passo che un'organizzazione possa fare per dare il meglio di sé. Quello successivo è dare vita ad una core-story, o storia-cardine, e amplificarla costruendo un immaginario, uno storyworlding necessario a rendere tangibile la storia stesso.

Presente la Misericordina di Papa Francesco? Un altro esempio ancora?

Il video Always #LikeAGirl - Girl Emojis prodotto da Always, marca di assorbenti, mostrato sempre al convegno dal direttore creativo Paolo Iabichino.

72% of girls feel that society limits them, by dictating what they should and shouldn't do. Sometimes, these limiting messages can be found in unexpected and subtle places - like on your phone. They may seem small, but emojis are more than just funny faces. They've become how girls express themselves in text and online.

Un video in cui il prodotto non si vede e non si nomina (se non nella schermata finale). Piuttosto si comunica una particolare sensibilità del brand verso un problema percepito dal pubblico di riferimento, cioè il fatto che le ragazzine non si sentono interpretate dal linguaggio stereotipato degli emoticons. Se una ragazzina vuole chattare ed esprimere con un emoticon che il weekend andrà a surfare, troverà l’icona del ragazzo sul surf, non della ragazza. Troverà in compenso molte icone di ragazze che si fanno lo smalto o danzano.

Un allargamento di prospettiva, un lavoro di ascolto del cliente/lettore, un approccio impegnato, un lavoro apprezzato dal pubblico con 18.857.303 di visualizzazioni.

Sul terreno dello storytelling, è sulla possibilità di toccare la sensibilità del pubblico, che il brand si gioca tutto.

Non solo perché è l'ultima strategia di comunicazione, non solo perché è qualcosa di più vicino al bespoke che alla mass production, ma anche e soprattutto perché porta il brand a interrogarsi su come contribuire alla costruzione del futuro con un messaggio originale e necessario.

Disegnare il futuro è opera d’immaginazione.

Ma tutto ciò che è diventato realtà non avrebbe potuto diventarlo, se qualcuno prima non lo avesse immaginato. E raccontato.

tags: storytelling, posverità, thenarrativeage
categories: Personal Storytelling, Storytelling
Friday 12.09.16
Posted by 00:am
 

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