Si parlerà di attesa e sospensione, tra letteratura e yoga, con l'autore Marco Frigerio. Vi aspetto!
You You Tu, the story of the 1st female Chinese Nobel Laureate
Mini Personal Storytelling Series by Elisa Barbieri: Episode#2.
Eccoci arrivati al secondo episodio della mini-serie di Personal Storytelling, dedicato a YOU YOU TU, prima donna cinese a ricevere il Premio Nobel. You You Tu ha fatto scoperte importantissime in ambito medico, scoperte che hanno salvato milioni di vite grazie all'uso dell'artemisinina contro la malaria, un principio attivo scoperto dall'ultraottantenne farmacista cinese scavando negli antichi libri della Medicina Tradizionale Cinese. Il Premio arriva a 40 anni di distanza dall'esito delle ricerche. Perché?
Dedicated to YOU YOU TU, the 1st female Chinese Nobel Laureate. She won the Prize for her medical discoveries concerning a novel therapy against Malaria, which has saved millions of lives, a therapy originating into Chinese Traditional medicine. The prestigious award arrives after 40 years from the outcome of her researches. Why?
Un viaggio meraviglioso
Un incontro casuale, un dialogo inaspettato lungo quanto un volo dal Cile all'Europa. Roba assai strana, in un'era di capi chini sugli schermi e orecchie imbottite di auricolari. Roba da raccontarsi vita, morte e miracoli. Ed è così che Alessandro, che mai ebbe difetto di favella, tornando dalla regia di uno show latinoamericano, siede in aereo di fianco a una giornalista di Vogue e gli racconta dei suoi progetti, tra cui uno, in particolare.
È un progetto strano, diverso, che gli sta a cuore in modo speciale. Di solito, nel mondo della comunicazione, la velocità è un diktat e allora ci si trova a titolare la parola fine quando ancora si avrebbe voluto cambiare qualcosa, senza magari neppure sapere cosa.
Invece questa volta il progetto lo accompagna da 5 anni ormai. Questa volta si parla di cinema. Di un prodotto cinematografico lungo quanto un documentario e ritmato come un videoclip, che illustra la storia professionale e le tecniche segrete di un mago delle parrucche per il cinema: Aldo Signoretti - portavoce di un'arte antica e pressoché sconosciuta.
Chi direbbe mai che Nicole Kidman in Moulin Rouge - e come lei ogni personaggio, anche maschile, e persino ogni singola comparsa - indossa una parrucca? Stessa cosa si può dire per Toni Servillo in La Grande Bellezza, Leonardo di Caprio in Gangs of New York e tutte le altre creazioni di Aldo, nate da minuziose ricerche storiche, da un piglio creativo unico, da una manualità eccezionale e dalla capacità di interpretare un personaggio attraverso l'immagine.
Un'arte antica, che andava fatta conoscere in qualche modo. E che il documentario su Aldo Signoretti svela con dovizia di dettagli e testimonianze di protagonisti del grande cinema internazionale, che hanno scelto Aldo per dare qualcosa di più ai loro personaggi.
Questa storia intrigante, tra cinema, moda e artigianalità, una storia ancora nascosta (il documentario è di prossima uscita) ha colpito la giornalista, che ha voluto essere la prima a raccontarla nel numero di Novembre 2017 di Beauty in Vogue, in edicola in questi giorni. Ringraziamo Vittoria Filippi Gabardi, Alessandro Beretta e tutta la redazione.
Un estratto digitale qui per voi. Buona lettura!
PS: E io cosa c'entro? Ho scritto la sceneggiatura. Oui, Giulietta Kelly c'est moi.
Personal Storytelling on ForTune
E per chi preferisce ascoltarsi un bel podcast, magari in italiano, ecco la mia storia su Dick Fosbury su ForTune, un flusso di contenuti audio in pillole da tre minuti, di alta qualità, senza interruzioni. Gli utenti scelgono i temi di interesse e ForTune propone loro un flusso audio unico, sempre diverso e mai banale. Il tutto alternato alla loro musica preferita.
And for those who prefer to listen to a good podcast, maybe in Italian, here is my story about Dick Fosbury on ForTune, an audio content flux in 3 minutes podcasts, high quality, without interruptions. Listeners choose their favorite subjects and ForTune proposes them a unique audio stream, always different and never ordinary. Interchanged with their favorite music.
New! A PERSONAL STORYTELLING MINI-SERIES: 1st EPISODE
After some sabbatical weeks (oh yes, I wish it was like that!) here I am again. My absence has been so fertile, that I can now promise you something super special: a Personal Storytelling miniseries. A gallery of portraits of people, that have changed the world, from Dick Fosbury to Pina Bausch, from Tu You You to Maria Montessori. A serie of 5-minutes highly motivational and inspirational videos.
Well, I’ll be honest. Actually, I did not made this serie expressely for his blog, but as a consultancy for the international meeting of an important company.
First of all, we worked on the concept, identifying “being first” as the theme of the meeting. Being first meaning overcoming competitors by being ahead of times, innovating, transforming failures into a new awareness, giving one’s best.
Then, second step, the creation through storytelling of a live link between diverse and highly technical speeches.
Stories, with their power to discover new models, to relax and arouse creativity, transport the audience into places that are far away in time and space - towards new encountres, new languages, new paradigms.
As much as to say…instead of one testimonial, a lot of exceptional testimonials!
Today I’m totally happy to introduce you the first episode, dedicated to a guy, who made the history of high jump.
Enjoy!
PS. Many thanks to Alessandro Molinari and Elena Quarta for the utmost precious collaboration in creating these videos
Novità: una mini-serie di Personal Storytelling. Ecco il primo episodio
Dopo settimane sabbatiche (eh si, magari!), eccomi di nuovo qua. L’assenza è stata così produttiva, che vi prometto ora qualcosa di super speciale: una miniserie di Personal Storytelling. Una galleria di ritratti di persone, che hanno cambiato il mondo, da Dick Fosbury a Pina Bausch, da Tu You You a Maria Montessori. Video-pillole da 5 minuti ciascuna, ad alto effetto motivazionale e ispiratore.
Beh, ve la dirò tutta. In realtà tutto ciò non nasce appositamente per questo blog, ma come consulenza per il meeting internazionale di un’importante azienda. Come prima cosa abbiamo lavorato sul concept, identificando come fil rouge delle giornate il “primeggiare”. Primeggiare come superare i concorrenti, anticipando i tempi, innovando, trasformando i fallimenti in nuove consapevolezze, dando il meglio di sé.
Poi - secondo step - la creazione attraverso lo storytelling di un legame dal vivo tra gli interventi dei relatori, ad alto contenuto tecnico e dai temi molto diversificati. Le storie, con il loro potere di aprire all’esemplare, di rilassare e di stimolare la creatività, hanno trasportato il pubblico in luoghi lontani nel tempo e nello spazio - verso nuovi incontri, nuovi linguaggi, nuovi modelli. Come dire…invece di un solo testimonial, una quantità di testimonial d’eccezione!
Oggi sono felicissima di presentarvi il primo episodio della serie, dedicato a un ragazzo che ha fatto la storia del salto in alto.
Buona visione!
Elisa Barbieri
PS: Grazie ad Alessandro Molinari ed Elena Quarta per la preziosissima collaborazione nel creare i video.
I cibi degli altri
Il progetto "I Gusti degli altri" di Gianluigi Ricuperati ruota attorno ad una domanda: è possibile modificare i nostri gusti per farci piacere cose che prima magari detestavamo? Questa domanda, unitamente alla tesi secondo la quale è possibile cambiare i propri gusti in quanto componente essenziale del nostro essere individui autonomi, è contenuta in un saggio di Emanuele Arielli dal titolo “Farsi piacere. La costruzione del gusto”. Questo saggio è il punto di partenza e l’ispirazione di tutto il progetto.
Un gruppo di uomini e di donne, un campione dei cittadini di Parma, proveranno a verificare se è possibile cambiare i propri gusti ed essere comunque liberi. Grazie al supporto di alcuni mediatori, ovvero di osservatori esterni che non potranno in alcun modo interferire sulle scelte dei soggetti protagonisti, ogni partecipante al progetto verificherà se sia possibile cambiare idea su un cibo, su uno stile artistico, su un genere letterario e se i gusti e i disgusti che ciascuno ha sono davvero genuini e autentici, oppure sono determinati da un complesso di fattori quali la nostra storia personale, l’educazione, i mezzi di informazione, le mode.
Il percorso di ogni partecipante entrerà a far parte di un racconto filmato da Alessandro Molinari di 00:am che verrà presentato a Mercanteinfiera Autunno, trasformando un’esperienza umana in un’opera.
Fa parte del percorso l'incontro I Cibi degli altri, cui parteciperà Elisa Barbieri di 00:am.
I cibi degli altri
Interverranno:
– Paolo Tegoni, docente di Scienze Gastronomiche all’Università degli Studi di Parma
– Giancarlo Gonizzi, curatore della Biblioteca gastronomica di Academia Barilla e coordinatore dei Musei del Cibo della provincia di Parma
– Giorgio Triani, docente all’Università degli Studi di Parma e fondatore del Parma Home Restaurant
– Elisa Barbieri, scrittrice e personal storyteller
Moderatore: Gianluigi Ricuperati
Lunedì 5 giugno, ore 17.00
presso l’Auditorium Casa della Musica di Parma
Per ulteriori informazioni:
Ilaria Dazzi i.dazzi@fiereparma.it
Alice Saccani a.saccani@fiereparma.it
Organizzato da / in partnership with
Mercanteinfiera off 4 – Fiere di Parma
www.mercanteinfiera.it
Stazione Creativa Exit
Sabato 27 maggio dalle 19.00 si svolgerà al WoPa Temporary Parma l’evento finale della Stazione Creativa, a cura di Chiara Canali e Michele Putorti, in collaborazione con Associazione culturale Kinoki e Manifattura Urbana.
Seconda tappa in Italia di un progetto ideato da Studio Azzurro, la Stazione Creativa si è svolta dal 27 aprile al 27 maggio presso lo Spazio Carroponte del WoPa, radunando giovani artisti e studenti di Parma che hanno potuto vivere un’esperienza residenziale a contatto con artisti, creativi e ricercatori di differenti ambiti disciplinari, per mettere in pratica nuove forme di progettazione artistica e sperimentale condivisa.
In questa serata conclusiva, il prodotto artistico, il seme della Stazione Creativa, viene messo a disposizione della città di Parma affinché possa essere da stimolo per la rigenerazione urbana del Parco di Via Verona (Quartiere San Leonardo) che ha già attivato un processo di partecipazione cittadina con il coinvolgimento delle comunità, anche straniere, del territorio, in collaborazione con Manifattura Urbana.
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PROGRAMMA DELLA SERATA
DALLE 19.00 ALLE 21.00, SPAZIO ESTERNO CARROPONTE
► Presentazione della Stazione Creativa e aperitivo conviviale
con la partecipazione di Studio Azzurro
► Francesca Agolli, Francesco Corradi, Cristian Cosenza, Luca Fossa, Marinella Melegari, Giulia Romanini, Enrico Zermani (partecipanti alla Stazione Creativa) - Sentieri d’ombra
Percorso multisensoriale nel paesaggio, introspettivo e collettivo, dal giardino delle ombre al parco delle luci.
► Manifattura Urbana - Temporary Community Garden
Giardino conviviale e forum sul progetto partecipato del Parco di Via Verona.
► Trio Pistapoci
Strumenti musicali di riciclo a disposizione nel Community Garden.
DALLE 21.00, SALA BUIA
► Rino Stefano Tagliafierro VIDEO (Karmachina)
Con contributi video dei partecipanti alla Stazione Creativa
Il Giardino Invisibile
Doppia videoproiezione in loop
Il Giardino Invisibile prende a riferimento il tema di riqualificazione del parco di via Verona di Parma. Attraverso un’interazione analogica basata sul semplice principio della sintesi additiva e senza l’utilizzo di sensori e hardware particolari, il visitatore, posizionandosi davanti allo schermo, svelerà, con la sua ombra, mondi e situazioni inizialmente nascosti dalla luce bianca. In questo modo, più persone parteciperanno attivamente all’installazione e più l’immagine celata prenderà forma, aprendo così una “finestra” e restituendo al parco una nuova vita.
DALLE 21.00, INGRESSO
► Cristiano Benassi
Light and Botox
Lightboxes
Il titolo LIGHT and BOTOX unisce la luce delle lightboxes, valigie di legno trasformate in lampade, in cui la luce stessa traspare attraverso piani di marmo lavorati fino all’estremo della loro fragilità, con la lettura ironica delle immagini e dei patterns, in cui la forma viene esasperata e modellata, come accade con il botulino, che nel tentativo di confondere la realtà cerca di cambiare il corso della natura.
DALLE 21.30, PADIGLIONE NERVI
► Kinetipark. Liturgia Cinetica
Physical Storytelling & Performing Art
Progetto ideato e diretto da Amalia Vigliante, Anna Guarinoni, Lazzaro Marco Ferrari (rhapsomedia.com), in collaborazione con C999 (Live visual performance & Projection mapping) ed Elisa Barbieri (Personal Storytelling).
Physical Storytelling & Performing Art realizzato con la collaborazione dei partecipanti di Stazione Creativa.
Kinetpark è una produzione collettiva di un evento di narrazione interattiva e multimediale dove tramite l'esplorazione fisica di segni, immagini, personaggi, spazio, gesti e movimento condurremo il pubblico in un processo inventivo e collaborativo di Storytelling.
Il parco ideale, luogo immaginario, territorio di ricerca, di sperimentazione e di immersione verrà rappresentato come luogo di trasformazione.
Durata TBD - indicativamente 30’ + audience interaction.
(Il pubblico nello stesso spazio di gioco dei performers).
DALLE 22.00, SPAZIO CARROPONTE
► Trio Pistapòci - La Ricicletta
Bicicletta meccanico-sonora
La Ricicletta è una bicicletta musicale costruita con materiali di recupero (soprattutto telai e cerchioni di vecchie biciclette), concepita anche per essere un’ipotetica giostra musicale del parco ideale.
► Antonio Pipolo - A man in a park is looking for something
Performance in ambiente interattivo
A man in a park is looking for something è una performance posizionale in ambiente interattivo pensata per riportare all’interno degli spazi di esposizione l’esperienza costruita intorno alla città e al parco di via Verona.
Il performer si trova in condizione di stasi all’interno di uno spazio buio, illuminato dall’alto da una luce che lo evidenzia e disegna sul suolo un vortice di luce.
Se il performer viene toccato dal visitatore l’ambiente interattivo viene attivato: la luce che illumina il performer diviene più intensa e compare alle sue spalle la proiezione di immagini velocizzate che vengono attivate e randomizzate ad ogni tocco. Il risultato sensoriale ed emotivo è quello di una sorta di oracolo ibrido tra la sfera naturale e quella digitale.
I contributi dei partecipanti al workshop saranno utilizzati per dar corpo alla “visione” prodotta dal contatto fisico tra il performer ed il visitatore.
► C999
WOODWORM
Visual mapping
Woodworm è l'Assenzio maggiore (nome scientifico Artemisia absinthium) una piccola pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Asteraceae, una pianta medicinale. Il parco ideale è una medicina alle malattie della comunità, l'artemisia è da sempre nota per la sua capacità di stimolare l'immaginazione, di mostrare colori, di guarire lo spirito. Un piccolo laboratorio alchemico per sfruttare una tecnica a favore della fantasia, per creare stimoli a sognare un luogo di condivisione, prima che alla sua realizzazione.
DALLE 22.30, PALCO PRINCIPALE
► Gloria
Live Music
Una storia interessante quella della Band Francese "Gloria" in piena botta sixties. Il loro sound è ricco di melodie che rimandano ai tempi di gruppi mitici come i Jefferson Airplain.Tuttavia, la loro pièce-de-résistance è infatti l'atmosfera fornita dalle tre armonie femminili che trasformano ogni canzone in una valle esotica di sensazioni sintestiche. Dopo la Tourneè Europea in giro per Francia, Spagna e Germania eccole approdare nella nostra Italia, e un giro al WoPa era d'obbligo.
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HANNO PARTECIPATO ALLA STAZIONE CREATIVA
Gli artisti e docenti: Elisa Barbieri, Cécile Bargiarelli, Paolo Boggiani, Tania Comelli, C999, Lazzaro Marco Ferrari (Rhapsomedia.com), Anna Guarinoni, Silvano Orlandini, Sergio Nicolas Parra, Antonio Pipolo, Francesco Sgorbani, Rino Stefano Tagliafierro VIDEO (Karmachina), Amalia Vigliante, Manifattura Urbana, On/Off, FabLab Parma, Liceo Artistico Paolo Toschi Parma.
I partecipanti: Francesca Agolli, Matilde Alghisi, Giulia Capelli, Francesco Corradi, Cristian Cosenza, Noa Ducati, Valeria Ferragina, Sara Ferrara, Luca Fossa, Anna Gerboni, Martina Leva, Marinella Melegari, Sara Minoli, Giulia Maria Letizia Romanini, Giulia Soavi, Enrico Zermani.
ORGANIZZAZIONE
A.P.S. Kontainer, 360° Creativity Events, Art Company
In collaborazione con Associazione Culturale Kinoki e Manifattura Urbana
SI RINGRAZIA
Studio Azzurro, Leonardo Sangiorgi, Osvalda Centurelli
Associazione WorkOut Pasubio, Alessandro Tassi-Carboni e Gabriella Incerti
Si ringrazia Associazione Kinoki per la documentazione video.
Si parla di Personal Storytelling a Radiofficina - Intervista a Elisa Barbieri
Intervista a Elisa Barbieri su Personal Storytelling, Poesia e Musica a Excuse My Accent, la trasmissione di Dalila Bellil su Radiofficina.
Il Sapore dei ricordi - laboratorio autobiografico
Prendi i 5 sensi, 10 libri d’autore, 1 quaderno vuoto, la tua penna preferita e fiducia a volontà.
Mescola tutto con vigore e partecipa a questo laboratorio di scrittura autobiografica, per ri-conoscerti attraverso i sapori salienti della tua vita.
Dove: Workout Pasubio Temporary - Parma WOPA Via Palermo 6 - PARMA
In collaborazione con “La città del sole” di Parma e l’erboristeria “L’Agrifoglio”
Il corso è per 20 partecipanti.
Il costo di iscrizione è di 70 euro per le tre lezioni.
Programma
WOPA 26/1/2017 - Lezione introduttiva con il Prof. Duccio Demetrio, guru italiano dell'autobiografica e fondatore della Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari
WOPA 2/2/2017 - Lab #1 UNA TAZZA DI ME’ – infusi su misura a colazione
WOPA 9/2/2017 - Lab #2 CENA CHEZ MOI – dal sapore dei piatti al mio sapore
WOPA 16/2/2017 - Lab #3 GALA-GALA STORIES – il gusto della festa
Svolgimento
Leggeremo poesie e brani letterari per il piacere di ascoltare grandi voci e per stimolare il flusso dei ricordi. Sperimenteremo la rievocazione del passato attraverso esperienze sensoriali. I vostri fogli si riempiranno dei sapori del passato, di ricette dimenticate, di profumi difficili da ritrovare, suoni di voci che raccontano storie intorno a un tavolo. Rivivremo insieme momenti della nostra vita per donarci un gusto in più.
Saranno assegnati, di volta in volta, brevi esercizi di riflessione sulle attività svolte e di apertura verso il presente.
Docenti
Elisa Barbieri, personal storyteller e autrice, ha conseguito il titolo di consulente in scrittura autobiografica presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Blog: www.00am.it/blog e giuliettakelly.tumblr.com
Maria Concetta Antonetti, già insegnante di lingua inglese negli istituti superiori, ha conseguito il titolo di consulente in scrittura autobiografica presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.
PIU' INFO SULLA RASSEGNA - CLICCA QUI
Buoni propositi: sognare di più
Ieri, non causalmente vicino all’inizio del nuovo anno, ho ricevuto una lunga lettera dell’amico Alberto Meschiari, in cui questo amabile scrittore quasi settantenne osa descrivere il mondo che vorrebbe. L’ho bevuta tutta d’un fiato, come un bicchiere d’acqua fresca dopo una corsa.
E’ questa un’epoca sospettosa verso i sogni, un’epoca tutta presa dal cinismo, dal gusto di criticare e demolire. Essere contro è “cool”, fino al complottismo. Chi ama sognare –a qualunque età – si sente stupido e ridicolo, passa per ingenuo e superficiale, per incurante dei problemi sociali, lontano dalle stringenti urgenze politiche.
Il sogno è visto come una vile fuga dalla realtà, un retorico romanticismo, un chiudere gli occhi davanti alle brutture, un’irresponsabile incapacità di fare i conti con la vita vera.
Come il mio amico, amo sognare. Ma se non riesco ad esprimere i miei sogni con sufficiente forza, è forse perché sento su di me il peso di questi giudizi e li temo, venendo da una famiglia di costruttori e ragionieri, gente di calcoli e di fatti.
D’altra parte, il mio essere madre e scrittrice nel modo in cui lo intendo io – un modo per fermarmi e scoprire l’incanto e magari aiutare altri a farlo – mi dice che è giusto sognare, anzi è necessario, anzi…dovrei sognare di più!
Sognare vuol dire anche pensare criticamente, non prendere il nostro modo di vivere come l’unico possibile, ma saperlo immaginare diverso, più giusto, più felice.
Presente “This is water” di David Foster Wallace? E’ il discorso del grande scrittore statunitense ai giovani del Kenyon College, su cui è stato fatto uno stupendo cortometraggio. (LINK), che inizia con un pesce rosso che chiede “Hey, com’è l’acqua?” e l’altro risponde “Cosa cavolo è l’acqua?”.
Quel video ti fa capire che il mondo può essere sognato. Il mondo in cui viviamo – che spesso ci fa sentire oppressi e frustrati - non è così per caso, ma è così perché qualcuno prima lo ha sognato – o meglio lo ha “progettato”. Essere consapevoli di questo è il primo passo per sentirci addosso la libertà – ma anche la responsabilità – del sogno. Non è il mondo migliore per tutti, probabilmente è il mondo migliore per quel 2% di persone che detiene il 51% delle risorse. Quindi … sognare vuol dire avere il coraggio di mettere in discussione tutto, di immaginare ogni cosa diversa, di sentirsi liberi di vivere secondo non le convenzioni, ma le convinzioni.
Se dovessi dire qual’è il mio sogno, non sarebbe molto diverso da quello del mio amico: un mondo in cui ognuno può vivere dignitosamente, un mondo senza pregiudizi e stereotipi, in cui ognuno può esprimersi come lo fa stare meglio, un mondo d’amore tra umani, vegetali, animali, un mondo in cui ci si onora con rispetto, in cui la parola fa superare i conflitti, in cui il flusso della vita scorre in pace, in cui si sappia riconoscere la bellezza e ci si sappia stupire dell’infinità molteplicità della creazione.
E cosa succederebbe, se fossimo in tanti a fare lo stesso sogno? Forse diventerebbe qualcosa di più di una reverie, di un sogno ad occhi aperti. Potrebbe diventare una piccola rivoluzione pacifica, fatta di gesti di cura e di ascolto attento, di scelte diverse e personali. Tornando al mio amico scrittore, e pensando a Bruno Tognolini e alla sua rima qui sotto, direi che sarebbe il sogno comune di chi ci prova gusto a seminare, crescere e coltivare. Qualsiasi germoglio che abbia il sapore della vita.
“Nel mondo che vorrei il pane si seminerebbe per tutti e non per pochi, e fra tutti sarebbe equamente diviso. E con esso tutto ciò che ha forma e sapore di pane: la terra, la bellezza e l’amore.”
Alberto Meschiari
"Seminate e innaffiate i vostri sogni
Contadini piantatori di miraggi
Spalate nuvole, lasciate segni
Frecce di favole per tutti i vostri viaggi
I sogni più sinceri e più sbruffoni
Si fanno oracoli, se bene detti
Se le visuali diventano visioni
Le profezie diventano progetti
Se non si avverano, era solo un sogno scemo
Ma se si avverano, allora brinderemo."
RIMA PER LA SEMINA DEI SOGNI, Bruno Tognolini
L’era della narrazione, tra storytelling e post-verità
La bibliografia di matrice anglosassone ha sempre classificato la produzione letteraria in due macro categorie: fiction e non fiction. Una distinzione, quella tra racconti di fantasia e documentazione realistica, che non esiste in tutte le lingue e tantomeno nella lingua di quel popolo di poeti, che siamo (eravamo? dovremmo essere?) noi italiani.
Per una volta possiamo dire di essere stati più lungimiranti noi, perché il boom dello storytelling poggia proprio sul superamento di questa dicotomia. Oggi lo storytelling rappresenta, con il suo mix di dati di fatto e lavoro d'immaginazione, una nuova prospettiva di ricerca di senso, quel senso di cui abbiamo bisogno per riempire il vuoto lasciato dal crollo di religioni, ideologie e altri fenomeni di massa (eccetto il calcio). Non esente da rischi, certo, ed ecco allora la necessità di uno storytelling guidato dall’etica.
Esemplare la scena finale di The Hateful Eight di Tarantino, quando uno dei due sopravvissuti al massacro nel saloon legge all'altro una falsa lettera di ringraziamento di Lincoln. Il trattamento colore dell'immagine vira sul blu, rosso e bianco, i colori della bandiera americana. Come a dire: ecco cosa rimane di questo paese, una storia finta, che però serve a motivare, a dare significato, a orientare le azioni. Con questa provocazione apre The Narrative Age - Convegno Nazionale dell'Osservatorio Storytelling del 25.11 a Milano il filosofo Roberto Mordacci, che vede lo storytelling come conseguenza della riscoperta da parte dei giovani filosofi, della responsabilità della verità, in opposizione alla scuola dei vecchi filosofi, ancora sostenitori di quel pensiero post-moderno per cui non esiste la verità, se mai tante ed equipollenti verità.
Tutto il contrario del "raccontare storie" insomma. Questa precisazione è quanto mai necessaria, perché nel mondo della comunicazione il termine storytelling tende ad essere abusato e travisato.
Fare storytelling significa cercare una storia e darle vita per incontrare un pubblico con l'appeal dell'onestà, della gentilezza, del pensiero laterale, della creatività, dell'impegno - in una giungla in cui il marketing tradizionale, aggressivo, dal linguaggio che è un grido di guerra (il pubblico come "target da colpire"), dalle iperboli e dalle false promesse ha perso credibilità e, soprattutto efficacia. Perché in una proliferazione di messaggi tutti simili, fare storytelling per un brand significa cercare la propria anima e, cercandola, costruirla. Magari, come fu nella versione biblica della creazione, nominando prima di tutto qualcosa perché prenda vita. Parlare di anima non è blasfemo - perché un brand cos'è, se non persone?
Lo storytelling è come una mappa medievale: la rappresentazione di un micro mondo dove convivono pacificamente il Mar Rosso e l'Eden, il Papa e gli sciapodi (esseri mitologici con una sola gamba), elefanti ed unicorni, ossia dati di realtà e creature fantastiche.
Oggi questa commistione esiste in ogni ambito della comunicazione, anche in quello che più di tutti si penserebbe ne fosse lontano, ad esempio il mondo dell’informazione. Dietro ad ogni immagine e testo c’è una costruzione della realtà da un preciso punto di vista. Basta pensare ai racconti geopolitici dell'ISIS, ad esempio. Per arrivare ad apici assurdi e divertenti, come il fenomeno del turismo finzionale (ad esempio, il binario 9 e 3/4 di King’s Cross a Londra osannato dai fan di Harry Potter) oppure il finto documentario sulla prova dell'esistenza delle sirene Mermaids – The body found, citato dal Direttore dell'Osservatorio Storytelling Andrea Fontana nello stesso convegno di cui sopra.
Eppure questo non deve scandalizzarci, quanto smaliziarci, cioè spingerci a interrogare le storie che ci vengono proposte, per indovinarne la regia e smontarne il costrutto narrativo.
Persino l’autobiografia, ambito a me molto caro, non è scevra dalla commistione di fatti realmente accaduti e fatti inventati. Pur perseguendo un ideale di verità, quando la memoria ritrova i ricordi, essa procede creativamente. I ricordi, infatti – come le neuroscienze hanno recentemente confermato – non sono mai uguali a se stessi, ma si trasformano nel tempo. E questo per quanto riguarda la prima fase dell’autobiografia (quella del dissodare il terreno della memoria), mentre nelle fasi successive, della sceneggiatura del racconto di vita, l’attività progettuale creativa è ancora più evidente.
Ma torniamo allo storytelling come nuova frontiera del marketing e quindi in relazione al brand. Per un brand costruire la propria storia significa confrontarsi con la propria identità, valori, etica, visioni. Cercare la propria storia è il primo passo che un'organizzazione possa fare per dare il meglio di sé. Quello successivo è dare vita ad una core-story, o storia-cardine, e amplificarla costruendo un immaginario, uno storyworlding necessario a rendere tangibile la storia stesso.
Presente la Misericordina di Papa Francesco? Un altro esempio ancora?
Il video Always #LikeAGirl - Girl Emojis prodotto da Always, marca di assorbenti, mostrato sempre al convegno dal direttore creativo Paolo Iabichino.
Un video in cui il prodotto non si vede e non si nomina (se non nella schermata finale). Piuttosto si comunica una particolare sensibilità del brand verso un problema percepito dal pubblico di riferimento, cioè il fatto che le ragazzine non si sentono interpretate dal linguaggio stereotipato degli emoticons. Se una ragazzina vuole chattare ed esprimere con un emoticon che il weekend andrà a surfare, troverà l’icona del ragazzo sul surf, non della ragazza. Troverà in compenso molte icone di ragazze che si fanno lo smalto o danzano.
Un allargamento di prospettiva, un lavoro di ascolto del cliente/lettore, un approccio impegnato, un lavoro apprezzato dal pubblico con 18.857.303 di visualizzazioni.
Sul terreno dello storytelling, è sulla possibilità di toccare la sensibilità del pubblico, che il brand si gioca tutto.
Non solo perché è l'ultima strategia di comunicazione, non solo perché è qualcosa di più vicino al bespoke che alla mass production, ma anche e soprattutto perché porta il brand a interrogarsi su come contribuire alla costruzione del futuro con un messaggio originale e necessario.
Disegnare il futuro è opera d’immaginazione.
Ma tutto ciò che è diventato realtà non avrebbe potuto diventarlo, se qualcuno prima non lo avesse immaginato. E raccontato.
L'invenzione di un luogo - e del suo vino
"Il circolo delle gomme lisce" si era autobattezzato il gruppo di attori e personaggi del cinema, tra cui Marcello Mastroianni, che - mescolati agli abitanti del paese - passavano pigramente i giorni d'estate seduti sulla Piazza di Castiglioncello ad osservare la gente. Gomme lisce perché inutili, da buttare, cosi come il tempo ozioso. Tempo in realtà produttivo per l'artista, che segretamente si nutre nell'osservazione, incamerando frammenti di mondo che a tempo opportuno germineranno. Il tempo vuoto, randagio e festaiolo raccontato da Dino Risi nel suo Il Sorpasso – riuscitissimo affresco cinematografico dell'Italia del miracolo economicoanni ’60 - girato proprio a Castiglioncello con Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant.
A raccontare con brevi flash l'atmosfera unica di Castiglioncello, sito su un incantevole tratto di costa Toscana a sud di Livorno, è stato lo storico Cosimo Ceccuti in occasione della presentazione del volume "Saluti da Castiglioncello" pubblicato dall’editore cult Corraini, avvenuta l’11 novembre scorso nella sala del Gonfalone del Palazzo della Regione Toscana, nel cuore di Firenze.
Sarà per via del mare per lo più impervio, di scoglio, sarà perché di grandi strutture non ce ne sono, Castiglioncello non è mai stata – volutamente o no – una località nota al grande pubblico, piuttosto una meta turistica per intenditori, un buen retiro per uomini di stato come Craxi e scrittori in cerca di ispirazione, come Pirandello e Montanelli. Castiglioncello, ancora prima, agli albori del ‘900, era stato un luogo di creazione artistica grazie al mecenate Diego Martelli che ospitò nel suo casolare Giovanni Fattori e altri pittori che divennero i Macchiaioli, veri e propri precursori dell’Impressionismo.
La via su cui s’arrampicavano i Macchiaioli saliva su per quello che – con l’incredibile capacità linguistica dei toscani di descrivere vivamente ogni cosa – i locali chiamavano “poggio pelato”. Un colle brullo, giallo, coperto di garega e sterpaglie. Nemmeno un filo d'erba, solo un casone diroccato in mezzo.
Da cui, però, si godeva una vista unica sul mare e sull’arcipelago, con la Gorgona e l’Elba sullo sfondo.
Eppure, nell’estate del 1994, qualcuno aveva saputo guardare quel poggio pelato con l’occhio del cuore e immaginare un sogno: nuova vita alla terra, con colture mediterranee. La resurrezione del casale diroccato.
Il nome di quel qualcuno era Fulvio Martini, toscano d’origine ma emiliano di nascita, e il nome che lui diede al vino e all’olio che quella terra avrebbe prodotto è Fortulla – come il ruscello che scende dal poggio - a testimonianza della sincerità del suo colpo di fulmine per quel luogo.
Casale del Mare invece il nome del Relais di Campagna e Ristorante condotto dal giovane chef salernitano Marco Parillo, ricavato dalla sapiente ristrutturazione contemporanea dell’Architetto Gianfranco Zanafredi.
L’ironia della sorte ha voluto che proprio alla riqualificazione di quel luogo ad opera di un uomo che si definisce "non di penna ma di zappa" sia stato dedicato un bel volume, con fotografie e cartoline storiche, bei testi, carta raffinata e divertenti effetti grafici, presentato in prima persona da Eugenio Ciani, presidente della Regione Toscana, che per l’occasione ha recitato alcuni versi tratti da I Sepolcri di Foscolo, che paiono essere stati scritti per dipingere a parole la bellezza di Castiglioncello.
“Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe' lavacri
che da' suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell'aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d'oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi”
E’ un grande onore per 00:am essere presenti all’interno del catalogo nelle pagine dedicate alle etichette dei vini Fortulla - vini coraggiosi perché di uve esposte al vento salmastro, vini pioneristici, di vitigni mai visti sulla costa toscana, come il Petit Manseng, usato in purezza nell’ultima creazione enologica Fortulla.
Pelagico come la vista sul mare aperto che si gode dal poggio, Serpentino come le rocce ofiolitiche che caratterizzano la geologia del luogo, Sorpasso come il capolavoro di Risi, Fortulla come la tenuta, Epatta come l’età della luna nella meridiana dipinta sulla facciata del casale: nel battezzare i vini abbiamo cercato nomi che, oltre a suonare bene, raccontassero ciascuno un brano di questa storia d’amore per la terra e i suoi frutti.
Grafica al tratto, trattamento bicromo delle immagini, etichetta unica che svolga sia la funzione informativa sia di storytelling, una palette di colori intensi e vivaci per capsule e il cipresso diventato logo, foglia, taglio di Fontana al centro dell’etichetta, l’eleganza del nero, la tattilità della carta e della vernice Braille.
Tantissime scelte, fatte con la massima cura, per disegnare la delizia di questa biocantina toscana di altissima qualità.
Sarà un caso o no, che a pochi mesi dal lancio, Serpentino e Pelagico con le nuove etichette hanno già vinto prestigiosi premi?
TOWARDS A NEW PRESENTATION ERA
Endless bullet-points, micro-sized paragraphs and showy animations are the guarantee of a boring, old-fashioned presentation. But if you, as a listener, do not come across a designer, a native digital or a storytelling connoisseur, it’s likely that you will have to endure a long speech supported by this kind of visuals.
On the other hand, project presentations are changing fast and going towards another direction. Presentation programs are becoming more and more visual – just think about Prezi, which forces you to go beyond the logic sequence of one slide after the other, to switch to a whole board, that you can fill in as you like - with images, texts or videos. You will choose the order in which you present one concept after the other only of the very end of your graphic work. The idea behind it is very much like the search tool in a Mac computer: no longer a tree of folders, just a lens where you type a key word and the computer will lead you straight to the researched file. We’re becoming more visual, simultaneous, immediate and less logical and rational.
Or think about Sway, which composes your presentation like a website, with interactive pages, for example.
But visual supports are not enough to make a strong presentation. Good speakers can, without them, nevertheless grab the audience’s attention.
Brevity is a key-aspect, because the peak of human attention lasts 5 to 12 minutes.
And so we can find formats, who point at brevity as presentation’s main secret of success. Pecha Kucha and Ignite are the most important two. Pecha Kucha Nights, for example, are worldwide events for young designers to meet, network, and show their work in public. They can talk for 6’ 20’’, their presentation must consist of 20 slides, each slide have to last 20’’. Slides advance automatically, so no chance to cheat! Ignite works in a quite similar way. These events are a kind of live experience of what Slideshare is online, a bottom up sharing of ideas, inspired by peer-to-peer education (anyway, projects are also available online).
But the hottest public speaking school at the moment is TED, which demonstrates how storytelling plays the key role in new generation speeches.
TED is a nonprofit devoted to spreading ideas, usually in the form of short, powerful talks (18 minutes or less). TED began in 1984 as a conference where Technology, Entertainment and Design converged, and today covers almost all topics in more than 100 languages. TED.com is becoming a clearinghouse of free knowledge from the world's most inspired thinkers and they also organize and promote TEDx events around the world, all year long. TED speeches range from science to business to global issues, but speakers do all share one thing: they know how to conceive brief, yet powerful speeches.
I have been entrusted by the cult professional haircare company Davines to improve project presentations during their shows.
So, when we started working at this project, at first I was taking into consideration the option of adopting a quite strict format, inspired by existing Ignite and Pecha Kucha. These formats share a fixed structure: an x number of slides for an x number of seconds. This means that the speaker has to practice a lot to be sure to perform well, to tell right things at the right moment, to be punctual and effective.
This would have perfectly matched our goal: end up long, boring, untrained presentations and switch to short, brilliant, effective ones.
Then we started asking ourselves: would a strict format be enough to reach our goal? What is that makes presentations really powerful? Just exterior formal features, like the number of minutes they last, the number of slides they show, the size of images and lettering?
If it would be so easy, then every presentation sticking to these rules would potentially a success. But it is not like that.
What is that makes a presentation truly involving and memorable?
After watching and thinking over some of the most successful TED presentations ever done, we came to this conclusion: what makes a presentation strong, is first of all the ability to connect with the audience by telling a story. Not just whatever story, but one revealing the very deep passion of the speaker, something he/she really cares for and believes in.
It may sound easy, but it is not. Because stories are all around us, in other people, in our past, in films and movies, in advertising, on newspapers. We’re so much into stories, that it is not easy to identify the ones that deeply resonate inside ourselves. And, when it has to do with our job, the presentation of a project is often something we relate to duty and stress. Finding a deep personal connection to a professional project means investigating one’s feelings, emotions, experiences, anedoctes and so on with a striking positive attitude. Sometimes coming to a good speech idea requires a brainstorming or the work of a whole creative team. But the most important thing is how authentic and meaningful the story is for the speaker.
Of course, many kinds of stories can be used, such as brand stories or stories about other people.
But still, personal stories are the most effective ones, also for professional presentations, for two reasons:
- It will help build a great speech - just the simple fact of looking for autobiographical stories leads you beyond stereotypes, commonplaces and worn out words, it will let you see the same thing from another point of view, actually from your very personal point of view, and will make you discover an original, new, fresh language
- It will help catch the audience’s attention - finding a personal story to introduce a presentation is a way to settle it in a specific, real, alive context and therefore to create a connection with people, who can imagine the whole situation and can identify
“Stories are everywhere, but you have to look for them carefully, to pick up the one that best conveys to the audience the very essence of what makes your heart sing” says with a beautiful image the internationally admired keynote speaker and author of bestseller “Talk Like TED” Carmine Gallo.
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UN ESPERIMENTO SULLE ORME DI PROUST
Sabato scorso si è ripetuto un insolito esperimento in cui un gruppo di donne, in un laboratorio di mia ideazione, ha messo alla prova il cosiddetto fenomeno Proust, per cui gusto e olfatto possono scatenare lampi che vanno a illuminare angoli bui della nostra memoria.
La lettura delle famose pagine dedicate alle briciole di madeleine sciolte nell’infuso di tiglio stupisce ancora oggi per la precisione con cui Proust, nel primo volume della sua lunghissima autobiografia Alla ricerca del tempo perduto, descrive l’affiorare del ricordo di zia Leonie, poi della casa e infine delle strade e delle piazze di Combray, dove Marcel passava le estati da bambino. Una città intera esce da una tazza di the e si ricostruisce davanti agli occhi dell’autore.
Proust descrive come la memoria si svela pian piano, come un domino in cui una tessera fa cadere la successiva e così via, una volta iniziato a dissodare il terreno dei ricordi. Ancora, Proust spiega come i ricordi non siano fotografie immutabili, bensì cambino nel tempo, si trasformino ogni volta che vengono richiamati alla memoria, coinvolgendo nella loro rievocazione un’attività creativa.
Era il 1913 quando fu pubblicato il primo dei 7 volumi della Recherche e cento anni dopo alcune scoperte neuroscientifiche hanno dimostrato come il gusto e l'olfatto siano in collegamento diretto con l'ippocampo, che svolge un ruolo importante nella memorizzazione, e come i due sensi abbiano un ruolo importante sia nella formazione dei ricordi che nella loro evocazione, confermando le intuizioni di Proust così dettagliatamente osservate e descritte nella Recherche.
Nel saggio Proust era un neuroscienziato il giovane ricercatore americano Jonah Lehrer mette in relazione le neuroscienze con l'arte e la letteratura e, in una sintesi tra cultura umanistica e cultura scientifica, analizza l'opera e le intuizioni di alcuni artisti, argomentando l’idea che la scienza non è l’unica via possibile per la conoscenza. Così come Marcel Proust ha penetrato i misteri della memoria immergendosi nei suoi ricordi e mettendoli in relazione con il gusto e l’olfatto, così Lehrer analizza come il poeta Walt Whitman abbia intuito le basi biologiche del pensiero umano; come la scrittura sperimentale di Gertrude Stein faccia presagire il lavoro di Noam Chomsky sulla grammatica; come la coscienza estetica di Stravinskij abbia anticipato le scoperte dei neuroscienziati sui modelli sviluppati dal cervello per il riconoscimento delle sequenze di note.
Alle partecipanti del laboratorio è stato chiesto di mettere a fuoco la ricetta del “piatto forte” della propria vita e di inviarla in anticipo alle docenti, cioè io e Lena Tritto, insegnante di cucina di casa e docente di scuola Tao. Questo primissimo esercizio, oltre a consentire a Lena di trasformarsi per l’occasione in “personal chef” e cucinare il piatto di ciascuna partecipante, ha portato le partecipanti a ripercorrere l’archivio dei propri ricordi sensoriali, entrando così già giorni prima nel clima autobiografico del laboratorio. Sempre all’insegna delle avanguardie dei primi del ‘900 i primi giochi autobiografici volti a sbloccare la penna dall’ansia da prestazione, con scritture automatiche e petit onze, fino ad arrivare a ricostruire la vera e propria storia dietro alla ricetta. E’ così che dietro a una ricetta apparentemente banale, come “Pizza”, si rivela come in uno stemma dinastico l’identità di un’intera famiglia, fatta di migrazioni e contaminazioni culturali e gastronomiche, attorno ad un unico punto fermo – la pizza, appunto.
Dopo aver scritto e condiviso con il gruppo, è arrivato il momento di assaggiare i piatti e andare così ciasuno a testare il fenomeno Proust, prestando attenzione a se vengono aggiunti dettagli al ricordo già dissodato ed emerso. Ma se ogni gruppo in autobiografia lavora col principio di Zygmunt Bauman dell’individualmente insieme, allora l’assaggio non è stato solo individuale ma condiviso: ognuno, dopo aver scoperto le storie celate dietro alle ricette scelte tra centinaia per essere rievocate questa celebrazione del “piatto del buon ricordo”, ha potuto assaggiare il gusto degli altri, arricchendo la propria immagine di profumi e sapori, in una grande sinestesia.
In questo insolito pranzo, Lena ha spiegato le proprietà energetiche dei diversi piatti, dei loro ingredienti e procedimenti, al fine di cucinarli per supportare il corpo nelle diverse stagioni e nelle necessità specifiche individuali.
Ricette, storie, micropoesie, fotografie, consigli nutrizionali, commenti e impressioni sono stati raccolti da ciascuna partecipante in un rice-diario decorato a mano nell’ultima parte del laboratorio, con timbri, scotch con stampe pattern, ritagli di carte di design create con fustellatrici Sizzix e altri materiali della tecnica scrapbook.
Un ringraziamento a Coop Alleanza 3.0 per aver reso possibile l’evento.
La biografia di ogni uomo
Sono molte più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono. Parola di scienziati!
featured image: Rosie Woodcock
Come molti, ho riso e pianto guardando il video in cui un gruppo di persone - filmato prima e dopo aver visto i risultati dell'analisi della propria mappa genetica - si trova improvvisamente a guardare gli altri da una prospettiva diversa: non più l'altro da sé ma l'altro dentro di sé. Ognuno scopre con sorpresa di essere il frutto fantasioso di un inaspettato mix di popolazioni, molte delle quali lontanissime dalla propria nazionalità. Chi ha pelle chiara e occhi azzurri scoprire magari di essere 70% africano e chi ha pelle nera di essere in gran parte cinese o celtico, tanto per fare un esempio. Insomma, il nostro DNA ha viaggiato tantissimo!
Al dirompere di tali insight, affiora una nuova benevolenza di sguardo, per cui i pregiudizi vengono considerati come aspetto parziale e ipersemplificato di un realtà più complessa e spesso portatrice di valori positivi.
Da questo esperimento si tocca con mano ciò su cui antropologi, archeologi, storici, genetisti e linguisti sono arrivati a concordare: il mondo è sempre stato villaggio - ben prima della globalizzazione - e noi umani siamo figli di un'unica stirpe che originò a Laetoli, in Tanzania settentrionale circa 3,75 milioni di anni fa. Vivevamo in riva a un lago che sorgeva tra vaste praterie, con monti all'orizzonte, attraversate da un sentiero, vivevamo in comunità insieme a branchi di (altri) animali. Questo è provato dal ritrovamento delle prime orme di camminata bipede in quella zona e spiegherebbe anche la nostra innata predilezione per questo tipo di paesaggi e - per esteso - un sentire comune in merito a ciò che è bello - una teoria evoluzionista della bellezza spiegata in modo divertente dal filosofo Denis Dutton nel suo libro The Art Instinct e ad una conferenza TED
A un bel momento la comunità dei nostri nonni di Laetoli comincia a desiderare di spostarsi, scavalcare i monti e cominciare la conquista del mondo. Lo rende possibile una rivoluzione anatomica, il bipedismo, che rende gli uomini più resistenti alla calura (perché è minore la superficie corporea esposta ai raggi solari), più abili (hanno le mani libere) è letteralmente più lungimiranti, potendo vedere lontano.
Dalla prateria inizia una migrazione che porta i nostri antenati a spostarsi verso est, a colonizzare India e Indocina, per attivare poi al vecchio mondo. Man mano che si espandono le comunità, si sviluppano particolari abilità e mutazioni genetiche per adattarsi agli habitat in cui si trovano.
A un certo punto, però, tra tutti gli "homo" rimane solo il Sapiens. Perché? Alcuni imputano le cause alla sua prolificità o all'estinzione dell'Homo di Neandertal, dell'Homo Heidelbergensis ed altri a causa di calamità naturali, come la terribile eruzione del vulcano Toba a Sumatra.
Eppure altri vedono nell'Homo Sapiens una grande carta vincente: la convergenza adattiva, cioè la capacità di adattarsi a mutate condizioni, sia a livello genetico (mutazioni nel colore della pelle, capacità di digerire determinate novità alimentari come il latte, ad esempio) sia a livello fisiologico (l'abbronzatura o la variazione di globuli rossi in relazione all'altitudine).
Ma esiste un altro livello che caratterizza l'Homo Sapiens: la capacità astrattiva di progettare. L'Homo Sapiens inventa tecniche costruttive che gli permettono di ripararsi, raffina l'arte della caccia con arco e freccia e inventa l'ago da cucire, con cui comincia a fabbricare vestiti che gli consentiranno di spingersi fino ai deserti freddi e montagne.
La capacità di inventare non risponde solo a necessità di sopravvivenza, bensì anche a necessità interiori, spirituali.
Ecco allora che, se pensiamo agli egizi come primi maestri di arte funeraria, ci sbagliamo, perché già 45000 anni fa - cioè 40000 anni prima - l'uomo preistorico seppelliva i defunti ornandoli di monili e suppellettili. Gli Asmat della Papua Guinea, ad esempio, celebravano un vero e proprio culto della testa, per cui fabbricavano teste di legno dipinte che venivano affiancate alla salma.
Se pensiamo alla medicina, ci stupiremo di scoprire pratiche di cura e assistenza ai malati, i cui segni sono stati ritrovati nelle sepolture di Shanidar sui monti Zagrei nel Kurdistan iracheno risalenti a 60.000 anni fa: le ossa dell'individuo trovato nella sepoltura in posizione fetale presentano segni di interventi di cura dopo lesioni, traumi e fratture e segni di pollini da fiori e semi di diverse piante utilizzati a scopo medicinale.
Se pensiamo alla narrazione, come capacità di creare mondi immaginari, scopriremo che le radici comuni delle fiabe popolari risiedevano nell'esperienza di iniziazione degli adolescenti al mondo adulto, per cui i ragazzi venivano allontanati da casa e spediti nel bosco in cui dovevano affrontare dure prove.
Evento, quello della conquista dell'età adulta, che veniva celebrato e festeggiato con canti e danze e la cui ritualità, una volta terminata la tradizione delle pratiche iniziativa, rimane come schema nelle narrazioni di tutti i popoli (allontanamento - prove - ritorno - conquista nuova identità).
Anche la narrazione segue una sorta di convergenza narrativa, risponde cioè al bisogno universale di dare risposte alle maggiori difficoltà della Vita: l'uomo adotta strategie narrative simili a grandi distanze, come emerge dallo studio comparativo delle mitologie di svariati popoli indigeni nei libri di Clarissa Pinkola Estes.
Tutto, osservando la storia della nostra evoluzione, sembra parlare di unità, tramite similitudini e ricorrenze.
Ma c'è una cosa che rimane molto variegata al suo interno ed è il linguaggio. Anche se non si sa ancora con certezza da dove nasca la prima lingua, sappiamo che i ceppi linguistici erano tantissimi e la varietà linguistica incredibile.
Le differenze linguistiche e genetiche nascono perché si creano comunità che non hanno scambi con altre. Nel lungo termine, questo porta a creare diversità genetiche e ramoscelli linguistici.
La lingua poi si evolve e cresce in sintonia con gli habitat: si sviluppa il lessico necessario a descrivere l'ambiente, che cambia nel tempo col mutare delle condizioni ambientali e sociali. Quindi tanto maggiore la biodiversità, tanto maggiore la ricchezza linguistica.
L'estinzione delle lingue fa parte dell'alterazione dell'ecosistema ad opera delle attività umane che marginalizzano le minoranze economiche e politiche.
In Nuova Guinea prima dell'arrivo degli occidentali si parlavano 5000 lingue, poi 700. Le lingue muoiono da sempre - vedi l'etrusco e l'ittita - ma da 5 secoli sono scomparse a velocità senza precedenti. L'evoluzione della diversità linguistica nel mondo moderno si riassume nell'espansione di poche lingue a scapito di altre.
Insieme alla biodiversità stiamo perdendo le lingue e stiamo mettendo a rischio la vita del pianeta, come mai prima.
Certo, il tempo ha estinto intere popolazioni con le glaciazioni e altre catastrofi naturali, ma ora sovrappopolazione, global warming, inquinamento e sfruttamento delle risorse rischiano di accelerare la prossima estinzione. Qualcuno si chiede se la peculiarità dell'Homo Sapiens, cioè sapersi adattare, sarà sufficiente a farlo sopravvivere ancora una volta. Di certo l'adattabilità è attiva e si manifesta nei grandi piedi e grandi stature delle nuove generazioni (nuovi grandi camminatori?) e nella mutazione genetica più recente, ossia il prolungamento dell'arto superiore generalmente destro con una propaggine chiamata smartphone.
Se gli adattamenti dell'Homo Sapiens ne potenziavano il corpo, siamo certi che sia lo stesso per la tecnologia? Non stiamo piuttosto trasferendo la nostra memoria alle banche dati, il nostro senso dell'orientamento ai navigatori, la nostra capacità logico-matematica ai calcolatori, le nostre abilità ai videogame e photoshop, le nostre relazioni alle chat, la nostra esperienza tattile e olfattiva allo shop online, la nostra capacità di osservare ed analizzare al rubare immagini?
Se la tecnologia venisse d'un tratto meno - in una non impossibile tempesta solare - i nativi digitali di oggi e del futuro, su quali abilità potrebbero contare?
È un peccato che la mostra Homo sapiens. Le nuove storie dell'evoluzione umana attiva in queste settimane al Mudecal Museo delle Culture di Milano, dove ho appreso gran parte di queste informazioni, non affronti gli interrogativi che la ricostruzione storica proietta sul futuro.
Peccato davvero. Pare che mentre le architetture dei nuovi musei e i loro nomi (Mudec, Miart, Muse etc...) rispecchiano lo stile contemporaneo internazionale, i contenuti continuino ad essere esposti con un impianto didattico fondamentalmente classico, nonostante un make up d’immagine, con una modalità poco incline a sviluppare il senso critico e la sintesi personale.
Un solo fatto la dice lunga: in questa mostra non si possono scattare fotografie. Ma a cosa servono le mostre se non a fare ricerca? E cosa ce ne facciamo di una ricerca che non possiamo ri-cercare, cioè letteralmente “cercare di nuovo”, se nell'era digitale non possiamo portare con noi nessun ricordo sintetico dell'esperienza? Ah già, forse una soluzione si trova: comprare il catalogo.
In Cucina coi Ricordi
Mezza dose di sapori e aromi, un cucchiaio di memoria, una manciata di scrittura: questi gli ingredienti-base di un laboratorio che gioca a mettere alla prova il cosiddetto fenomeno-Proust, per cui gusto e olfatto scatenano lampi che illuminano gli angoli più bui della nostra memoria. I partecipanti degusteranno i “piatti forti della loro vita” cucinati appositamente per l’occasione e scriveranno la loro storia. Dulcis in fundo, il progetto grafico:
ognuno confezionerà storie e ricette in un Riceddiario,
con materiali dal design ricercato e l'ausilio di attrezzi Sizzix.
A CHI SI RIVOLGE
A donne - ma anche a uomini - amanti della cucina e attratti dalla scrittura autobiografica
(anche alla prima esperienza), senza restrizioni di età
A CURA DI
Elisa Barbieri (Giulietta Kelly), personal storyteller, socia di 00:am casa creativa
& Lena Tritto, insegnante di cucina di casa e docente Scuola Tao
DOVE&QUANDO
Sabato 15.10.2016 h 9-16
c/o Distretto Soci Coop, via Mansfield 2, Parma
ISCRIZIONI
Entro il 30 settembre via mail a rosilisp@hotmail.com
o telefonando al 393-3525945 dalle 15.30 alle 19.30
All’atto dell’iscrizione è richiesto di fornire
la ricetta del piatto forte della propria vita.
Partecipazione gratuita, previa iscrizione,
riservata esclusivamente ai Soci Coop
When romantic love ruins our lives
Everybody has some kind of teenage-like mania. Mine is to be a flaming fan of some literary authors as if they were Superstars. My idols are not many and mostly dead. Therefore the chances to meet them are not that frequent and when they happen, I try not miss them - using an euphemism, as actually I act live pretty much like a 14 year-old girl craving to go to a Justin Biber concert.
That is why, when I discovered that philosopher and founder of The School of Life Alain De Botton was lecturing in Mantova, I connected to the Festival Letteratura eshop the same early morning the ticket sale was opening. Unfortunately tickets were already sold out, as Festival members had bought them all in the pre-sale.
But, as just any fan girl, I'm not easy to dissuade. So I checked out the Super Speaker schedule on his website and found out that he was holding the same day the same speech (but at different time) in Milan. Without reservation and for free.
So I decided to leave my family for their sunday ice cream in the city center, involved 2 more Art-for-Emotional-Intelligence fan girls and drove to Milan. We entered the Triennale conference room one hour before the speech started and could even find 3 comfortable seats on the floor. But on the first row, for sure. That is what happens when somebody decides to turn philosophy into a popular thing.
So Mr De Botton held his lectio magistralis – or rather his cabaret - "Romantic love ruins our Lives" in 30 minutes of satirical sketches against today love's big enemy – romanticims, indeed. At the beginning I was quite scared that this masochistic choice would lead me to loose self confidence, as I must confess that I so far considered myself a romantic human being. Moreover I’m easy influenced by other people's opinion, let alone my idols’ opinions. But after De Botton's explanation I felt relieved, as I realized I’m (no longer) a romantic. Except for love for nature, clouds and that particular time of the day between 6 and 7 o’clock in the evening, when everything is perfect for love.
So, what are the points of this dangerous romanticim?
- the idea that marriage is related to love (not to struggle for existence)
- the idea that sex is the pinnacle of love (not the natural way to the survival of human species)
- the certainty that we are normal and other people crazy (not that we’re as crazy as everyone else)
- the belief that love has to do with instinct (not with skills)
- the expectations about being perfectly understood by our partner, even without speaking
So what is love, if not predestination, nor instinct, nor sex, nor marriage, nor telepathy?
It is a 100% human thing, something everybody can learn, just like riding a bicycle or play bridge. Well, maybe a bit more complicated. But it's still a skill, the skill to treat our partner with patience, understanding and empathy - in other words, as if he or she would be a 2 year-old baby.
I think this all makes a lot of sense, especially for teenagers and young people in general, who need to learn how to love from zero and who are becoming more and more romantic then their parents, as one can tell from their favourite love icon - padlocks.
And what about adults? Emancipated couples who would like not having to choose between honesty and love, who are open about the fact that, if falling in love lasts 9 months and then love becomes a day-after-day creation, also monogamous sex becomes boring after a while and requires some "restyling".
What De Botton suggests to adult lovers, is to decide to leave the partner only if he can 100% be blamed for all our problems and failures. If he happens to be not, we should stay together and learn to consider each other “lovable idiots”, adopting a high tolerance threshold and lots of (possibily british) sense of humour.
I would really like to know if De Botton has ever watched the Polyamory US TV series and his opinion about it.
Maybe some hints about this topic can be found in his latest book “The course of love” Il Corso Dell'Amore (ed. italiana Guanda, settembre 2016)
As a perfect fangirl, it’s already on my night table.
Watch Alain De Botton's speech about love at a conference by Google held in London in May 2016 called Zeitgeist
La scomoda autobiografia di Neruda
Vivere da poeti è vivere senza ragionevolezza. È vivere vicino al cuore, è ascoltare il battito profondo della terra e l'alta sinfonia delle galassie, è guardare con l'occhio invisibile il reale più reale, ma nascosto, è essere guerrieri della pace.
Mi sento poeta, perché mi muovono la bellezza, la gratitudine, l'amore, l'entusiasmo, la gentilezza.
Purtroppo il business vuole inglobare in sé tutto, persino il poeta, vuole farci credere che il poeta è chi scrive e pubblica poesia.
Ma il poeta, prima di scrivere, è.
E la poesia, prima di essere un mestiere, è un atto di pace.
Il poeta crede nel vegetale, nell'animale, nell'umano, nel siderale e nel mistero. Certo, la storia addita qualche poeta deragliato negli aberranti nazionalismi, come Céline o Ezra Pound. Ma la maggior parte dei poeti ha vissuto del coraggio di essere contro e anti, a favore prima di tutto della proprio acuto sentire, nonostante solitudini opprimenti, nonostante - spesso - persecuzioni.
"Il poeta nasce dalla pace come il pane nasce dalla farina. Gli incendiari, i guerrieri, i lupi, cercano il poeta per bruciarlo, per ucciderlo, per sbranarlo. Uno spadaccino lasciò Puskin ferito a morte fra gli alberi di un parco desolato. I cavalli di polvere galopparono impazziti sul corpo senza vita di Petöfi. Byron morì in Grecia lottando contro la guerra. I fascisti spagnoli iniziarono la guerra in Spagna assassinando il loro maggior poeta". (Pablo Neruda, Confesso che ho vissuto)
Neruda è stato una lettura scomoda, persino pericolosa, per me poeta a metà, che cerco di combinare poesia e borghesia, che relego la poesia negli stanzini e nelle anticamere, fingendomi soldatessa nei saloni.
La vita del grande cileno è stata coraggio, lotta, fuga, ribellione, rischio. Ha sempre saputo di essere poeta, tant'è che Neruda è uno pseudonimo scelto per nascondere al padre - che non voleva un figlio poeta - la prima pubblicazione giovanile, uno pseudonimo scelto ingenuamente sfogliando una rivista, senza sapere che quello era il nome di un scrittore cecoslovacco molto famoso in patria.
Neruda ha viaggiato il mondo, prima con l'alibi di console del Cile, poi come ambasciatore di pace, ha combattuto per il proprio paese e per il popolo spagnolo contro Franco, ha condiviso case, cibo, idee e cause con i grandi poeti spagnoli, russi, francesi, sudamericani.
Ha fatto della sua vita una via di ricerca, in una solitudine a volte colossale.
Pablo Neruda con la moglie Matilde Urrutia, che ha curato la pubblicazione autobiografia del poeta dal titolo "Confesso che ho vissuto"
Leggere l'autobiografia di Neruda "Confesso che ho vissuto" non solo mi ha scatenato un'ammirazione stupita, non solo mi ha stimolato l'appetito di Paul Eluard, Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Octavio Paz, non solo mi ha arricchito di tanti preziosi passi per la raccolta di citazioni che sto componendo da qualche anno, non solo mi ha portato in una Cina che non conoscevo e mi ha riportato in un Messico che ho conosciuto e amato, non solo mi ha scosso di parole e immagini sensazionali.
Il poeta mi ha interrogato sui fondamentali, ha puntato il dito dritto al cuore del mio cuore. Favorito forse da tête à tête notturni su una baia, in cui le luci degli alberi maestri si distinguono dalle stelle solo per il loro dondolio.
Travel Personal Storytelling: Ivo from Mljet
ITALIANO
Vent'anni fa, molto prima di Airbnb, Home Away, Home Exchange, Homelidays, a Cuba sopopolava la moda delle case particular, cubani che avevano trasformato la loro casa, o più spesso parte di essa, in struttura turistica. Cosi avevo soggiornato a L'Havana, a Trinidad, a Cuernavaca, dove l'accoglienza era spesso più che spartana - nell'ultima delle località citate, al tempo ancora ben poco sviluppata, la famiglia ci aveva ceduto la sua capanna nel bananeto ed era andata a stare dai vicini.
Ora che viaggiare preferendo agli hotel le case della gente è diventato un grande sistema digitalizzato ed un piccolo business per molti giovani disoccupati disposti a condividere una stanza del loro appartamento, approfitto sempre di questa possibilità.
E così, abitando nelle case delle persone, scrutando le loro letture, indovinando le loro abitudini dall'organizzazione degli spazi, immaginando la loro personalità osservando gli arredi, ho conosciuto intimamente - pur senza averli mai incontrati - Florin di Londra, Yves di Parigi, Trevor di Minorca e altri.
Comincia però con Ivo di Mljet la rubrica di Personal Storytelling dedicata al viaggio "personal", o "particular", come direbbero i cubani.
Monti aspri come cuoio frusto sulla costa croata, i versanti solcati dalle bianche diagonali delle strade, con improvvisce strisce di verde, segno di portentosi venti e umidità, il bianco ottico delle pale eoliche e delle vele issate sugli alberi maestri. Verso sud sbiadiscono nella foschia i rilievi del litorale dalmata, montenegrino e poi albanese. Dalla barca da pescatore dipinta di fresco d'azzurro, le onde sembrano le falde della gonna di un immenso dervisci tourner. Dalle trasparenze dell'acqua bassa, si intravede il dondolio della poseidonia oceanica, con le lunghe foglie ossidate dalla salsedine. In una piccola radura di questa prateria sotterranea, s'aggrappa al fondo una stella marina.
Mljet incanta con i suoi aromi balsamici, coi suoi fichi maturi, i suoi melograni e bergamotti, col verde accecante dei suoi pini d' Aleppo, che misteriosamente ricoprono la crosta di quest'isola su cui si narra che Ulisse incontrò Calipso.
Qui ci è venuto incontro all'arrivo un pescatore alto due metri, a torso nudo e con pantaloncini consunti, un po' gobbo, con la voce profonda, gli occhi malinconici e le sopracciglia folte e lunghissime.
Eliza, you arrive here, all alone! You have so much positive energy!
Ha continuato a tuonare ogni giorno, tra le pulizie degli appartamenti, le uscite a pesca, il check out di un ospite o la grigliata per un altro.
Ivo, si chiama quest'omone filiforme, dallo sguardo buono e dalla gran voglia di parlare, nonostante l'inglese precario. Gli piace insegnare, a Ivo. Racconta di corde, boe, ancore, catene, venti, onde senza coniugare i verbi, infilando qua e là parole croate, italiane e dialetto dalmaziano, poi ti chiede "Understand?" e, dopo tutti i suoi sforzi, non puoi che dirgli di si.
Ci offre il pesce che pesca, entra in cucina e preleva dal tegame per allungarcelo un generoso assaggio di quello che sta cucinando la moglie Mirjana, cuoca all'ospedale di Dubrovnik ed ex cuoca dello Stermasi, il miglior ristorante dell'isola. Mai mangiato un capretto arrosto cosi fenomenale!
Ivo ci offrirebbe tutto, prenoterebbe per noi un sole della giusta temperatura e un maestrale della giusta intensità, se sapesse la lingua ci racconterebbe barzellette per tenerci allegri. Ha staccato dalla rete da pesca che decora la parete della sua cucina un'enorme conchiglia per scusarsi di un disguido irrilevante. Ci ha portato con lui a pescare, ci ha spiegato il motore entrobordo, la pesca con le gabbie, ci ha fatto impugnare il timone. Alla terza gabbia che ha sollevato dalle profondità, orrore!, due murene! Eliza go back! Mi ha fatto spostare, ho preso mio figlio in braccio mentre lui rilasciava sul pagliolato i due neri rettili di mare e subito ha cominciato a colpirli con una clava finché ha ammazzato la grande, mentre la piccola è riuscita a sgusciare via e infilarsi sotto il motore. Ivo allora ha preso il coltello e l'ha tirata fuori infilzata per la gola.
Ivo è un gigante sanguigno, affettuosamente invadente, osservatore, istintivo, curioso della gente, con un rispetto antico e una semplicità saggia che lo tiene vicino al suo cuore. E' un romantico che ancora aspetta il tramonto per caricare sua moglie Mirijana e due birre sulla barca e fare rotta verso il sole rosso.
Oggi, giorno dell'Assunzione di Maria in cielo e a due mesi dalla morte della madre, per la prima volta Ivo ha indossato le scarpe e i pantaloni lunghi, e col figlio più piccolo e più solare dei tre è salito sull'auto bella per andare alla processione, contrariato solo dal rifiuto della figlia di andare con lui.
Era bastato parlargli per telefono per capire che per quell'uomo concreto nulla era più importante della parola data, del contatto umano, delle stagioni per pescare e raccogliere le olive. Per abuso d'empatia, al telefono mi ero messa a parlare un inglese così ingolfato, che mio marito si chiedeva cosa mi stette succedendo.
Don't worry Eliza, no problem. Ripete Ivo, anche quando ci s'inceppa il motore della barca che ci ha noleggiato.
Per Ivo di Mljet, sindaco di Saplunara, grande fan dell'energia positiva e grande oppositore dell'industria e dell'arroganza, tutto si aggiusta, basta non avere fretta. Ma in fin dei conti, che fretta bisognerebbe mai avere affacciati su una baia silenziosa dal nome dolce e avvolgente come Saplunara?
ENGLISH
Twenty years ago, long before Airbnb, Home Away, Home Exchange, Homelidays, in Cuba the casa particular was the hottest trend. Cubans used to transform their house or part of it into a bed and breakfast. I stayed in a casa particular in L'Havana, in Trinidad, in Cuernavaca - in the last one, a tiny seaside village, at that time still undeveloped for tourism, a family gave us their shed in the middle of a banana orchard and went to stay at the neighbours shed.
Now that travelling by staying in people' s houses have become a big digitalized system and a small business for young unemployed, I usually take advantage of this possibility.
By staying in private accomodations, you get to know people without even meeting them, only by observing the layout and the interior design of their flat, by peeping into their books, paintings, pictures. It' in this way that I got to know Florin from London, Yves from Paris, Trevor from Minorca and others.
But it's with Ivo from Mljet - whom I get to know directly, as he lives just beside the flats - hat this Travel Personal Storytelling section begins.
Harsh mountains like worn leather on the croation coast, the slopes ploughed by white roads, with sudden green stripes, sign of prodigious winds and humidity, the optical white of the eolic generators and of the sails on the masts. Southwards the croatian, then montenegrin, then albanian reliefs fade into the haze. From our fishing boat newly painted in light blue, waves look like the skirt of an enormous dervisci tourner. Under transparent water you can see the swinging of the poseidonia oceanica with its long leaves oxidized by salt. In a little clearing of this underwater grassland, a starfish grabs on to the ocean floor.
Mljet enchants with its balsamic herbs, figs, bergamots and pomegranates, with the blinding green of its Aleppo pines, that misteriously cover the crustal plate of this island, where it is said that Odysseus met Calypso.
Here we have been welcomed by fisherman and former sailor Ivo, a two-meter-tall man, a bit round-shouldered, bare-chested, with worn shorts, a deep voice, melancholic eyes and extra long eye brows.
"Eliza you made it all alone til here! You are so full of positive energy!" he kept on thundering everyday, between one cleaning, a check out or a grill and another.
Ivo, that's the name of this thin man, with a mild look and who likes to chat, despite his poor English. He likes to teach, also. He talks about ropes, boats, waves, fish, winds, buoys, chains, without conjugating verbs, inserting here and there Dalmatian, Croatian, Italian words, then he asks you full of hope "Understand?" and you cannot but say yes, after his such big effort.
He offers us the fish he fished in the morning, he goes into his kitchen and takes out of the pan one big portion for us of some typical dish that is beeing cooked by his wife Mirjan, now cook at the Dubrovnik hospital and former first chef at Stermasi, Mljet's best restaurant, where you can taste delicious under-the-bell octopus or lamb. Never tasted a better kid then Mirjana's one!
Ivo would offer us everything, would book for us the right air temperature, would make jokes all the times to keep us cheerful. He removed a huge shell from the fishing net decorating his kitchen's wall and gave it to me to apologize for an irrelevant mistake.
He took us to fishing with him, explained to us how his boat's engine and fishing with cages work, he let us take the helm. At the third cage he lifted from the depth of the sea - horror! - two moray eels! Eliza go back! I picked my son up while he released the black sea snakes on the floor of the boat and started to hit them with a stick. He killed the big one whereas the second one managed to flew and hide under the motor. Then Ivo took a knife and he pulled it out pierced through the throat.
Ivo is a full-blooded giant, an affectionately intrusive person, an observer who can still trust his instinct, have respect and be authentically close to his heart. He's a romantic husband who takes his wife on his fishing boat with two beer bottles and heads for the sun at sunset time.
Today it's Virgin Mary's Assumption day and Ivo has put on for the first time in ten days long- sleeved shirt and long trousers. He has taken the good car and has driven to Koriza with the youngest son, the most cheerful one, to the service. When he left he was a bit nervous, I guess maybe it was because his daughter did not want to go.
It had been enough talking to him over the phone for the reservation to seize that, for that practical man, nothing was more important then a promise, a dialogue, and the season for fishing and picking olives. This all was a perfect premise for the relaxing holiday I was looking forward to. For enthusiasm and an excess of empathy, I started talking with him in a totally basic, even stammering, English.
Don't worry Eliza, no problem, keeps on saying Ivo, also when the engine of the boat we rented from him would not start again.
For Ivo from Mljet, mayor of Saplunara, a big fan of positive energy and a fighter of industry and arrogance, everything can be fixed, you just do not need to hurry.
On the other hand, why should you ever hurry up, in the peaceful bay with the sweet name of Saplunara?
by Elisa Barbieri
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Ivo Pitarevic
http://www.apartments-ivo-mljet.hr/en/
Io, chi? Intervista al filosofo Thomas Metzinger sull’identità nella realtà virtuale
Il filosofo Thomas Metzinger dell'Università di Mainz
Sarà perchè, come autobiografa, ho impiegato per mesi a ricostruire il mio io. Sarà perché come mamma ho passato sere con altri genitori coinvolti nel progetto Cittadinanza Digitale per produrre una carta etica del comportamento online. Oppure sarà perché una sera un amico, direttore IT di un grosso ente, mi ha invitato a cena e mi ha fatto provare dei visori 3D di ultima generazione sotto forma di occhiali in cui si inserisce il cellulare e si ha la possibilità di immergersi completamente in una realtà virtuale, che si cotruisce seguendo le direzioni del proprio sguardo.
Più probabilmente sarà per tutti e tre questi motivi insieme, che mi ha colpito l'intervista apparsa sul settimanale tedesco der Spiegel al filosofo Thomas Metzinger. La rivoluzione digitale ci permette di assumere altre identità. Dove ci porta questo? Alla perdita dell’io?
E’ tutto possibile. Persino robot che soffrono per davvero – sostiene Metzinger.
Traduco l’intervista per voi.
SPIEGEL: Signor Metzinger, per un ricercatore della coscienza deve essere un periodo interessante, questo. Essere tante persone contemporaneamente è reso possibile dalla rivoluzione digitale: posso essere elfo, se voglio, oppure cyberpunk oppure gladiatore o nano…
METZINGER: …posso immergermi totalmente nella realtà virutale indossando dei visori 3d sotto forma di occhiali e sperimentare come cambia la sensazione di me stesso e di quello che riteniamo essere la nostra esperienza consapevole, reale ed autentica. Quest’anno è probabile che questi prodotti entrino sul mercato in modo massiccio.
SPIEGEL: Li ha provati?
METZINGER: Naturalmente. Nella realtà virtuale sono stati sviluppati dei modelli corporei molto buoni, praticamente già i primi modelli di un io artificale. L’ultima volta che ero in laboratorio, mi sono incarnato in una donna, che era alta come un ragazzino di 14 anni. Ho guardato con i suoi occhi, poi tutto d’un tratto lei è stata aggredita da un altro Avatar.
SPIEGEL: Spiacevole…
METZINGER: Per un momento mi sono spaventato: indossavo questi visori 3D sotto forma di occhiali, ero seduto in una stanza, immerso nella realtà virtuale, nella TV davano un video musicale, c’era un camino col fuoco acceso, quando ho guardato in basso e mi sono accorto, che il mio Avatar non era ancora stato creato. Avevo la sensazione di essere seduto, ma guardando in basso ho visto solo la sedia vuota.
SPIEGEL: Mancava qualcosa…
METZINGER: Si, il mio corpo. Raccapricciante.
SPIEGEL: A cosa servono queste prove?
METZINGER: Hanno a che fare con la percezione. Per esempio, ci possono essere molti utilizzi clinici, nella psicoterapia, ad esempio, oppure per creare ambienti di apprendimento completamente nuovi. Ci si può allenare a combattere la paura dell’altezza, gli anoressici possono fare una nuova esperienza del loro corpo, ci sono esperimenti per costruire avatar per le persone paralizzate attraverso un’interfaccia cervello-computer.
Le tecnologie di realtà virtuale possono servire per facilitare l’empatia, oppure per distruggerla. Questi metodi sono potenti strumenti di manipolazione psicologica. Ora è importante stabilire degli standard etici, per la ricerca, certo, ma anche per la quotidianità, per la relazione interpersonale nella realtà virtuale.
SPIEGEL: Come filosofo che studia il confine tra scienze della natura e dello spirito, ci dica: cosa fa di noi la realtà virtuale? Come cambia la rivoluzione digitale ciò che intendiamo per “io”.
METZINGER: Di preciso non lo sa nessuno. Quello che sta succedendo ora è una specie di esperiemento di massa. Può essere che l’identificazione totale con gli Avatar cambi la percezione dell’Io, all’inizio in maniera impercettibile. Potrebbe essere che le persone, che per lungo tempo vivono nella realtà virtuale, in seguito possano soffrire di disturbi di spersonalizzazione, ossia la sensazione cronica che il corpo reale, nel mondo vero, non sia più reale. Oppure il fatto di percepirsi come degli automi oppure che tutto ciò che ci circonda sia un sogno.
SPIEGEL: Le novità sono sempre minacciose. Nel 18mo secolo si temeva che l’ascesa del romanzo potesse scatenare una “foga da lettura” nei giovani. Poi è diventato un pericolo la Tv, ora Internet.
METZINGER: E Platone ha criticato già nel Fedro la scrittura, per via del fatto che indebolisce la memoria e non sia adatta al trasferimento della saggezza. La realtà virtuale che abbiamo studiato, è però diversa da un film o da una chatroom. L’utente ha una percezione diversa perché tutto ciò che lo circonda è stato disegnato dai creatori della realtà virtuale. La persona che si muove all’interno della realtà virtuale vive l’illusione di possedere e controllare un corpo, che non è il suo. Questa tecnica cambia il rapporto con noi stessi. SPIEGEL: Lo spazio virtuale e più in generale digitale è un mare di possibilità: cosa che non deve essere per forza cattiva. In Facebook ci sono circa 60 tipi di identità di genere. Posso decidere liberamente, se voglio essere uomo, donna, transessuale, bianco o nero. Da qui l’eterna domanda: chi sono? Chi voglio essere? Decidere non è allettante?
METZINGER: Se non si perde la propria autonomia spirituale, sì. Cliccando su Internet abbiamo una gamma di opzioni infinita, certo. Ma c’è anche il rischio enorme che ciò che clicchiamo non sia la migliore delle opzioni. Questo ci mette dubbi e in realtà l’essere umano non ama l’insicurezza. Un brillante scienziato inglese, Karl Friston, ha sviluppato un modello matematico, che precisa l’idea di base di Kant e Helmholtz in relazione a ciò che fa il cervello. Semplificando, il cervello fa sempre questo: riduce l’insicurezza, evita le brutte sorprese.
SPIEGEL: Perché abbiamo così paura?
METZINGER: Noi esseri umani col nostro cervello siamo sistemi che cercano costantemente le prove della propria esistenza. Vogliamo costantemente sapere, se esistiamo ancora. Abbiamo bisogno di segni che dicano: non sono morto, sto bene. La vita e la coscienza sono profezie di auto-realizzazione.
SPIEGEL: Così come i maniaci di Twitter o dei selfie, che devono sempre far sapere al mondo tutto ciò che stanno facendo. Come dire: guardate qui, ci sono, esisto.
METZINGER: Si l’estensione isterica e costante del modello di sé nel mondo dei media.
[…]
SPIEGEL: Anche la realtà virtuale ha bisogno di nuove forme di coscienza. Tant’è, che Lei ha già presentato un codice etico di comportamento online.
METZINGER: Si, perché ci sono tanti aspetti da chiarire. C’è bisogno di un “diritto al proprio avatar”, connesso al diritto d’utilizzo della propria imagine? Presto si potranno resuscitare i morti, come Avatar. Che conseguenza ha questo sull’elaborazione del lutto da parte di chi rimane, è un bene o un male? Quali sono i costi delle conseguenze psicosociali dello sviluppo delle nuove tecnologie, se sempre più giovani diventeranno dipendenti? Presto si potrà entrare in un film porno in modo molto più profondo e interattivo, con un’esperienza corporea completa, che coinvolge anche il senso del tatto, potendo quindi prendere parte direttamente anche ad azioni perseguibili fino a poco prima nel mondo reale. Cosa succederà alle persone? L’industria del porno deve essere fortemente regolamentata, allora?
SPIEGEL: Fino ad ora l’abbiamo seguita: nuovi sviluppi portano nuove conseguenze. Ma nel suo libro “Il tunnel dell’io”, che ha presentato da poco, lei mette in guardia rispetto alla creazione di un coscienze artificiali. Con un’argomentazione singolare.
METZINGER: La mia tesi è che non dovremmo creare soggetti artificiali, perché in questo modo potremmo produrre una grande quantità di dolore, senza che sia necessario.
SPIEGEL: Robot che soffrono?
METZINGER: Si, è pensabile.
SPIEGEL: Davvero, robot che soffrono? Non sono né persone, né animali, né piante. Solo macchine.
METZINGER: L’hardware è insignificante. All’interno dell’intelligenza artificale c’è un dibattito su alcuni soggetti artificiali eccezionali
SPIEGEL: Cioè quelli che dispongono di una coscienza?
METZINGER: Si. Oggi possiamo costruire robot che simulano il dolore in modo fantastico, che hanno sensori e magari persino urlano, e nessuno crede che loro sentano davvero male. Ma prima o poi questo dolore ci sarà veramente. La biorobotica costruisce robot con hardware biologico. Ci sono ricercatori che costruiscono robot capaci di curiosità, fame, sete, rabbia – si tratta di esseri ancora senza coscienza, ma prima o poi ci arriveremo.
SPIEGEL: Davvero?
METZINGER: Dico: se vogliamo mettere in campo un’evoluzione artificale della coscienza – cosa che non succederà sicuramente né oggi né domani, ma forse un po’ dopo sì – allora ci sarebbe un rischio molto alto. Potremmo smuovere delle cascate, duplicare tramite Internet molte copie di modelli di coscienza artificiale, che probabilmente soffriranno della loro esistenza.
SPIEGEL: Questa è fantascienza.
METZINGER: Ma penso che ce se ne debba occupare.
[…]
In fin dei conti, questa storia dei robot che s’innamorano, godono e poi s’arrabbiano, s’ingelosiscono e vanno per la loro strada non l’avevamo già vista nel film “Lei”? Solo che solo qualche anno fa, nel 2013, quando che la sceneggiatura di Spike Jonze vinse l’Oscar, pensavamo fosse una storia di fiction (e non di probabile prossima non-fiction). J
A questo link, invece, un video in cui si mostra come le nuove tecnologie possono migliorare la vita e le relazioni dei portatori di handicap.
https://www.aktion-mensch.de/neuenaehe?et_cid=58&et_lid=274024